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La salute delle imprese e la questione manageriale

| Chiara Lupi |

Abbiamo aperto il 2017 con un nuovo progetto, l’Ateneo Este, un ciclo di appuntamenti per aiutarci a capire come sta cambiando il nostro mondo.
Mauro Magatti, nella prima lezione, ha spiegato che è scorretto parlare di crisi. Si è chiuso un ciclo capitalistico e dobbiamo aprirne uno nuovo. Il problema è che non siamo preparati. Gli impatti dell’innovazione tecnologica si stanno manifestando con la loro potenza e la fabbrica come sistema tecnico, localizzato in un luogo, non esiste più. La crisi del modello finanziario si combina con la digital transformation.

 

Cosa fare? Le aziende che stanno dimostrando di reagire bene sono quelle che intuiscono che bisogna alzare l’asticella e sviluppare un’idea di valore più integrale. È necessario rinegoziare una relazione tra economia e società e comprendere la rilevanza della sostenibilità. Il consumo non genera più ricchezza tout court: solo la produzione di valore sostiene i consumi e questo passa attraverso le persone e un’idea di comunità che ragiona in un’ottica di bene comune. Va fatta una riflessione su cosa produciamo, come, e per soddisfare quali bisogni. Servono nuovi occhi per interpretare il presente.

 

Franco Rebuffo, che dal 1990 al 2008 ha diretto la nostra rivista, ci sarebbe di grande aiuto. La modalità con le quali secondo Rebuffo il management dovrebbe reagire o, per meglio dire, l’attitudine manageriale che andrebbe sviluppata – non solo in momenti di grande discontinuità – è illuminante. È mancato da poco e mi piace ricordarlo con qualche stralcio di un editoriale scritto nell’ottobre del 1991.

 

“Negli Stati Uniti esiste una professione dedicata alla gestione di situazioni critiche improvvise […]. Se guardiamo come viene preparata la figura del crisis-manager, ci rendiamo conto che non viene effettuato alcun insegnamento, piuttosto vengono descritte le catastrofi, storicamente accadute nell’ambito del business, degli impianti tecnologici, o degli ecosistemi, ponendo l’accento sul carattere qui e ora delle soluzioni trovate. Quello che si vuol far acquisire, attraverso gli esempi, è una sensibilità particolare, una propensione ad agire in modo altrettanto imprevedibile e controfattuale quanto la catastrofe che si vuole affrontare.
Oggi, possiamo chiederci: l’arte di agire in maniera controfattuale, è riservata solo ad eventi straordinari, oppure sta entrando nell’ordinario modo di esercitare il management?

 

Intanto possiamo fare un’osservazione: l’introduzione massiva dell’information technology, quasi per paradosso, ha posto al centro dell’attenzione il comportamento umano, considerato fattore di successo o di insuccesso. Contemporaneamente, l’esigenza di gestire sistemi così inaffidabili, ha finito per destrutturare sensibilmente l’esercizio del management. Agire sui valori, sul modo di percepire le cose, quindi sui comportamenti, implica ragionamenti e scelte estranei alla severità causativa o statistica.
Il risultato è che la stessa propensione alla conflittualità, tipica del crisis-management, tende, sempre di più, a diventare la prerogativa più importante del manager tout court.

 

È la chiusura della forbice tra evento eccezionale ed evento ‘normale’ ed è, oggi, la sfida più importante sul versante del management”.