Non cercare il costo più basso ma i valori più alti

| FabbricaFuturo |

Intervista a Vito Gulli, Presidente e amministratore delegato di Generale Conserve S.p.A.

Le aziende di ogni settore sono in asfissia e guardano all’estero. Quali azioni davvero sosterebbero un ritorno al circolo virtuoso dell’economia? I passi sono ‘semplici’: occupazione, potere d’acquisto e consumi. Certo, cosa significa in termini più concreti? Ci siamo confrontati con uno dei maggiori produttori ittici del Paese che ha scelto di ri-localizzare in virtù di un progetto di qualità, sostenibilità e italianità. Non solo responsabilità di produrre cucina italiana fatta ‘a mano’, ci vuole anche un po’ di coraggio…

Vito Gulli, Presidente di Generale Conserve
Vito Gulli, Presidente di Generale Conserve

Un percorso di qualità a 360° di un’azienda di successo, dalla pesca alla soddisfazione dei consumatori. Ci siamo confrontati con Vito Gulli, presidente di Generale Conserve, per capire quali le scelte e le azioni per ottenere risultati, ma in termini di posizionamento sul mercato rispetto ai comportamenti e soddisfazione dei consumatori.
La struttura, con un management di profonda conoscenza del mondo delle conserve ittiche, vive della passione delle persone che si occupano di produrre e promuovere un prodotto di qualità tutta italiana.
La produzione di ASDOMAR è sbarcata in Italia, a Olbia, per una scelta ben precisa: non c’è altra soluzione se si desidera una qualità eccezionale come risultato del connubio tra l’artigianalità nella pulitura, fatta con passione da donne con un’esperienza che si tramanda da madre in figlia, e la tecnologia più avanzata in tutto il processo produttivo, dal taglio, al confezionamento finale.

La vostra è un’azienda che non fa scelte ‘di moda’: un progetto di successo?
Azionista di riferimento dal 2002 di Generale Conserve, Vito Gulli, ci racconta la sua storia di successo: con diversi brand, l’azienda si pone tra i maggiori produttori di conserve di qualità: “Ho scelto di abbandonare la mia carriera di manager dopo vent’anni di esperienza nel settore ittico perché ho creduto e credo in un progetto: ho sposato il marchio ASDOMAR perché aveva un grande potenziale di sviluppo in termini di premium quality. Nel top quality abbiamo conquistato la leadership, al contempo, abbiamo colto la potenzialità del mercato medium per portare prodotti di qualità a una rosa più ampia di consumatori, attori in cui io credo e confido molto.
Parlo di ‘quality’ e non di ‘price’ a ragion veduta: la qualità è un fatto di sostanza, il price è un fatto di pura immagine. Questo ci ha permesso di conquistare la seconda posizione nel totale di mercato.
Ciò che in particolare ci differenzia dai competitor è che siamo anche produttori di private label (circa il 40% del totale). Nel creare una linea di business basata sulla qualità ci siamo caratterizzati quindi con un value for money corretto per segmento di appartenenza. Abbiamo sviluppato l’immagine di marca grazie allo sviluppo di piani di comunicazione strategici. Intendo dire: siamo gli unici che hanno investito veramente negli ultimi dieci anni nella comunicazione dei nostri valori, e non solo dell’immagine, di qualità e sostenibilità. E lo facciamo da più di dieci anni, già in tempi ‘non sospetti’, mentre oggi come oggi è molto ‘di moda’.

Fate leva sì sulla qualità del prodotto, ma anche sulla qualità del processo produttivo con una scelta coraggiosa…
Ci distinguiamo in termini di qualità in prima battuta perché siamo nel segmento premium quality, e quindi va da sé… Poi perché abbiamo fatto conoscere al consumatore, abituato a un diverso standard, il prodotto e la sua qualità reale –organolettica– attraverso la trasparenza del nostro vetro.
In seconda battuta l’elemento del processo produttivo che ci differenzia è una cosa molto semplice: lavoriamo il tonno intero, non immettiamo nel mercato dei semilavorati importati e inscatolati anche se di buona qualità. Il gap differenziale è ampio. Noi scegliamo ogni singolo tonno, per qualità, specie, dimensione, luogo, e lo lavoriamo: selezioniamo le sue parti, lo puliamo a mano e ri-selezioniamo prima di inscatolarlo. Questo caratterizza la nostra qualità. È una scelta di sostenibilità.
Scelta che abbiamo certificato con Friend Of The Sea. Pochi altri hanno fatto questa ‘pazzia’! È oneroso, ma è importante fare no scelte di questo tipo. Anche per avvalorare il business e renderlo longevo. Se si pensa solo all’immediatezza dei ricavi e non si pensa alla salvaguardia dei nostri mari e delle specie il business prima o poi muore. Noi peschiamo solo in oceani che la FAO ha dichiarato non sovra sfruttati, utilizziamo metodi di pesca non invasivi e da flotte che a loro volta sono certificate: abbiamo assunto l’impegno a lavorare solo tonno maturo. Se tutti facessero come noi, non sussisterebbero i ‘problemi del mare’. È la ‘legge del pescatore’: il pescatore sa benissimo che se pesca i piccoli prima o poi non avrà più niente di cui sfamarsi..
Crediamo molto in questo valore, ci battiamo e lo comunichiamo, nella speranza, forse ‘naif ’, che grazie ai comportamenti del consumatore, si crei una tendenza delle industrie a seguire questa nostra stessa ‘linea di navigazione’. Siamo realisti e credibili nell’affermare che etica e sostenibilità fanno coppia con il business. Chi dicesse il contrario vive in un eremo: costruiamo il business anche attraverso la sostenibilità in modo concreto, non come adesso è ‘di moda’ per fare brand.

Da qui la scelta della ri-localizzazione…
Per portare avanti i due punti cardine di qualità e sostenibilità, io devo avere la certezza che il processo sia eseguito esattamente in questo modo. E per poter essere sicuro non c’è altra soluzione che ‘giocare in casa’. Il terzo punto che ci differenzia è l’italianità reale del nostro prodotto: non si può vantare la propria italianità alimentare di vera qualità senza sviluppare il prodotto con mani italiane.
Non posso affidare questo minuzioso processo a uno stabilimento dall’altra parte del mondo. Ho necessità di produrre in Italia perché devo poter riconoscere la specie, verificare la dimensione e gli aspetti di sostenibilità.
E, non ultimo per importanza, lo dico da tanti anni: l’unico modo per uscire dalla crisi è dare impulso alla nostra economia con il processo di ri-localizzazione. Ovvero l’opposto di ciò che è nelle radici del baratro economico in cui stiamo sprofondando da anni: la delocalizzazione. Spero che molti altri ci seguiranno in questo senso. Questo aspetto sarà determinante per la durata e, spero, l’uscita dalla crisi. Il virtuoso circuito dell’impulso economico è fondato sul dare lavoro per aumentare i consumi. Oggi il mercato ha iniziato a capire: spero che lo spirito di sopravvivenza, in extremis, giocherà un ruolo favorevole.
Questa vision è facilmente deridibile e nessuna legge può aiutare in tal senso: è necessaria la nascita di un movimento di consapevolezza popolare, tra i consumatori, che capisca il meccanismo e premi per scelta il prodotto italiano ‘vero’.

Stabilimento di Olbia
Stabilimento di Olbia

Lavorate il prodotto interamente in Italia, quanto contano le persone? Sono una leva per far crescere il business?
La delocalizzazione ha portato con sé un fenomeno di dissipazione del nostro know-how manifatturiero. Al contrario, cogliere le opportunità dall’expertise che stiamo disperdendo porta successo. Noi abbiamo anche uno stabilimento in Portogallo dove lavoriamo altri prodotti ittici, sgombri, sardine, che vanno lavorati sul luogo di pesca; in Italia abbiamo colto la possibilità di capitalizzare l’esperienza del polo ittico di Olbia che stava perdendosi a causa di diverse chiusure industriali.
Il nostro know-how insieme alle capacità di lavorazione del prodotto in mano a persone consapevoli, soprattutto personale femminile, rendono possibile il binomio qualità-sostenibilità. Certo, il rischio fa parte del gioco anche in termini di sviluppo delle capacità delle persone, c’è solo una strada percorribile: dare loro motivazioni e responsabilità oltre a una retribuzione equa. Per questo abbiamo conquistato la certificazione eticosociale SA8000: ci sembra il minimo indispensabile per poter operare in Italia e garantire, appunto, l’italianità del prodotto.

Per valorizzare le nostre competenze italiane è necessaria la responsabilità degli imprenditori annessa alla capacità di costruire un patto di fiducia con le persone che lavorano nell’impresa…
Da dieci anni a questa parte investiamo gli utili in tradizionali ingrandimenti aziendali –macchine e uomini–, ma soprattutto in ricerca e innovazione. Altri termini ‘di moda’ di cui si fa un enorme abuso. Ricerca e innovazione fanno parte del rapporto tra persone, tutti gli stakeholder, che pur sempre nella logica del rischio sono abituati a ‘pensare’ oltre che a ‘fare’: sproniamo e capitalizziamo le idee.
Bisognerebbe guardare il nostro stabilimento con i propri occhi per capire esattamente cosa intendo: investire in Italia e rimanere competitivi, sarà da pazzi, ma è un patto di fiducia tra persone.. preparano ogni prodotto come se fosse una loro creatura, un piatto che preparano a casa per la famiglia con amore. È l’evidenza del nostro investimento in ricerca e sviluppo: diamo spazio alle idee di tutti gli attori del processo e tentiamo sviluppando le ipotesi più accreditate. In caso contrario non avremmo ottenuto i risultati che abbiamo.

Vista notturna dello stabilimento
Vista notturna dello stabilimento

ASDOMAR è una storia di successo. Cosa fare perché non rappresenti un caso isolato? I nostri imprenditori dovrebbero essere più coraggiosi?
Sono convinto che molti imprenditori sposeranno la nostra linea, perché altrimenti il business morirà e più in generale anche l’economia del nostro Paese. I consum-attori, che stimo e in cui credo molto, ci salveranno. Saranno loro i protagonisti dell’unica possibilità che abbiamo per riprenderci: consumare quello che noi stessi produciamo, per creare lavoro e per ‘sopravvivere’. Se noi avremo successo, i concorrenti seguiranno le nostre tendenze come negli ultimi dieci anni. Anche se alcuni dicono molto di più di quel che fanno, ma un po’ lo fanno: è in ogni caso un segnale positivo perché porterà benefici a tutto il mercato creando lavoro, potere d’acquisto e, di conseguenza, consumi. In ultima battuta mi sento di dire una cosa, che sfiora la retorica ma vera ed efficace: non si deve andare alla ricerca del costo più basso ma di valori più alti.

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FabbricaFuturo è il progetto di comunicazione rivolto a tutti gli attori del mercato manifatturiero (responsabili delle direzioni tecniche, imprenditori e direzione generale, responsabili organizzazione e HR) che ha l’obiettivo di mettere a confronto le idee, raccontare casi di eccellenza e proporre soluzioni concrete per l’azienda manifatturiera di domani.

Nasce nel 2012 dalla rivista Sistemi&Impresa come reazione alla crisi finanziaria del 2011. Negli anni il progetto è cresciuto significativamente, parallelamente alla definizione di politiche pubbliche in ambito industria 4.0 (Piano Calenda e successivi).
Oggi FabbricaFuturo affronta i temi legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), per offrire alle aziende gli strumenti per affrontare le sfide nella fabbrica di domani.

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