Sales effectiveness: verso una nuova scienza delle vendite

I nuovi approcci metodologici e le prassi emergenti alla base del miglioramento dei sistemi di vendita

L’obiettivo di questo articolo è presentare una sintesi, quanto più approfondita, del cambiamento che in questi anni sta imponendosi nelle modalità organizzative dei sistemi di vendita e nella gestione delle relative performance. Nelle pagine seguenti cercheremo di illustrare alcune idee e un insieme di prassi a esse collegate – comunemente raccolte sotto l’etichetta “Sales Effectiveness” – che si sono affermate nell’ultimo decennio e che hanno modificato le modalità di approccio tradizionale a tal punto da spingere alcuni autori a parlare di una nuova “scienza delle vendite”.

A cura di
Pierluigi Vergani è un esperto di Marketing e Organizzazione delle Vendite, attualmente Practice Leader dell’area Sales Effectiveness di Mercer Tesi Human Capital, la società di consulenza nata dal merging in Italia di Mercer e Tesi spa.

Premessa

Questa scienza (“nuova” e, dunque, in evoluzione) nasce e si fonda su contributi (accademici e professionali) differenti. Tuttavia, in estrema sintesi, possiamo individuare i due principali: – quello degli organizzatori, che tradizionalmente si sono interessati alla vendita per la risoluzione del problema di “sizing and structuring” delle strutture, ma che hanno via via esteso il perimetro di indagine a meccanismi (sistemi premianti, processi di governo, monitoraggio dell’iniziativa di vendita) e uomini (disegno dei ruoli, delle competenze, dei sistemi di generazione della cultura di vendita).

Fra i diversi esponenti, spiccano A. A Zoltners e G.A.P. Sinha della Kellog Business School; – quello degli psicologi e sociologi, che tradizionalmente si sono occupati del comportamento di vendita (e, quindi, della definizione delle tecniche ottimali nella relazione con il cliente) e che, nel tempo, hanno esteso il proprio interesse alla comprensione e alla definizione delle condizioni organizzative a supporto (sistemi di pianificazione e monitoraggio del lavoro di vendita, ruolo e comportamento dei capi, modalità di condivisione delle esperienze e di acquisizione delle competenze, sistemi di incentivazione).
I contributi più significativi sono quelli elaborati dagli autori dei sistemi “strategic selling” e “solution selling”. Questa sintesi muove da un punto di vista privilegiato, quello del team al quale appartengo, posto al confluire di due tradizioni, quella di Tesi (nella formazione dei comportamenti di vendita) e quella di Mercer (nella definizione dell’organizzazione e dei suoi meccanismi).
Occorre, infine, sottolineare che l’associazione (compiuta dalla Harvard Business Review) di “scienza” e “vendita” e l’interesse crescente da parte delle business school e dell’accademia, sono i segnali della fine di un’epoca, quella in cui la vendita era considerata una pratica minore del management.

Un nuovo approccio alla vendita

Negli ultimi anni, in un contesto nel quale, in molti settori, la domanda si è fatta stagnante, l’esigenza crescente di performance, le tensioni competitive e l’attenzione ai costi hanno costretto le direzioni di vendita a porre una maggiore attenzione alla produttività e all’efficacia delle loro organizzazioni; i responsabili delle vendite, in particolare, sono stati chiamati a una valutazione attenta della redditività delle loro operazioni, oltre che allo sviluppo dei fatturati.
Il rallentamento della domanda, inoltre, ha ridotto considerevolmente la possibilità di espandere i volumi di vendita attraverso la sola intensificazione della copertura dei mercati (incremento del numero dei venditori): in questo senso, è apparso completamente superato l’approccio “feet on the street”, che puntava ad aumentare i ranghi della forza vendita, inserendo nuovi venditori o nuove unità (filiali, negozi, ecc.) – non sempre preparati in modo adeguato – al fine di aumentare in modo proporzionale i volumi.
Questo approccio si accompagnava a un sistema di pratiche – l’allineamento periodico dei territori (taglio delle zone), la programmazione di incentivi di spinta sui volumi (gare e premi di periodo/canvas), l’appello allo spirito d’iniziativa dei singoli venditori (convention e iniziative celebrative dei “campioni” e iniziative di formazione “motivazionale”) – che per molti decenni sono stati gli strumenti principali della “cassetta degli attrezzi” del direttore vendite.
La progressiva perdita di efficacia di quegli strumenti ha spinto le direzioni a ripensare approcci e pratiche e negli ultimi dieci anni si è andato affermando un nuovo paradigma fondato su tre grandi idee:

– l’efficacia di una struttura di vendita è il prodotto di un sistema ampio e articolato di molti fattori, che possono essere dominati in quanto rappresentati e spiegati attraverso modelli capaci di illustrarne interazioni e impatti sui risultati;

– il miglioramento dei risultati di vendita impone la ritaratura sincronizzata di un insieme di fattori, da selezionare in base alla loro rilevanza nella situazione specifica (specifica di un impresa e/o di un settore) ;

– l’efficacia e la produttività complessiva della forza di vendita sono l’obiettivo primario da perseguire in primo luogo attraverso la riduzione dell’eterogeneità delle performance individuali (diminuzione del divario tra average e best performer).

Il consolidarsi di questo pensiero ha anche portato le direzioni commerciali ad abbandonare l’idea che il miglioramento della Sales Effectiveness sia conseguibile con interventi circostanziati e definiti in maniera intuitiva.
Nella prassi professionale e nei lavori accademici sono emerse modalità di intervento che prevedono di:
– identificare i miglioramenti attraverso assessment “ingegnerizzati” dei fattori che determinano il risultato di vendita;
– implementare le azioni di miglioramento attreverso tattiche sperimentate e codificate.

I tempi di un approccio empirico, fondato sulle sole esperienze di chi ha iniziato con “una borsa in mano e tanta volontà” (come amano ripetere i vecchi direttori commerciali ricordando gli anni della gavetta), sono ormai tramontati, lasciando il campo a un metodo innovativo, caratterizzato dall’impiego di strumenti scientifici: “[…] a scientific approach to sales force effectiveness. It is a method that puts systems around the art of selling, relying not just on gut feeling and native sales talent […] but also on data, analysis, process and tools to redraw the boundaries of markets and increase a sale’s force’s productivity” (Ledingham D., Kovac M. e Locke Simon, The New Science of Sales Force Productivity).

Le idee chiave

Le idee portanti di questa evoluzione meritano un approfondimento. Il nostro obiettivo è illustrare le prassi e le metodologie che ne sono derivate e che, oggi, costituiscono un riferimento essenziale per i leader delle strutture di vendita.

1. Modelli descrittivi dei driver

Negli ultimi quindici anni, una crescente attenzione e una maggiore disponibilità di informazioni sulle performance commerciali hanno mostrato che l’efficacia di una struttura di vendita è il prodotto di un sistema complesso di driver.
I modelli presentano molti aspetti in comune dal punto di vista dell’architettuta generale e delle logiche di identificazione delle configurazioni ottimali, mentre si differenziano in maniera significativa nell’interpretazione dell’interazione tra i driver. L’architettura di gran parte dei modelli presenta un’affinità di fondo nel collegare tre sfere:
– quella delle decisioni strategiche, relativa alla determinazione dei segmenti di clientela e della value proposition, e, quindi, alle modalità di presidio del mercato attraverso la definizione di strategie di canale
– quella delle scelte organizzative, riguardante il disegno della struttura, dei ruoli e dei processi di vendita e di sales management, nonché il dimensionamento ottimale dei territori (dunque dell’intera forza vendita), la definizione dei sistemi di pianificazione, l’assegnazione e il monitoraggio degli obiettivi
– quella dell’abilitazione e mobilitazione delle persone, legata ai percorsi di formazione e di carriera, ai sistemi premianti e incentivanti, e alla messa a punto degli strumenti di supporto della sales execution.

Tutti i modelli presuppongono che la configurazione ottimale del sistema si consegua attraverso l’adeguamento delle componenti alla variabile Cliente. Ne consegue che, ogni qualvolta l’azienda – per effetto delle pressioni del mercato o per scelte di posizionamento – riqualifica il proprio target di clientela, deve al tempo stesso provvedere alla ridefinizione coerente dei driver, al fine di ristabilire l’efficacia di partenza del sistema oppure incrementarla. I modelli, invece, si differenziano a seconda di come interpretano l’interazione tra i driver. Partendo da questa premessa si possono identificare due categorie:

Modelli causali: i driver si influenzano in maniera sequenziale, seguendo una successione stabilita. Gli interventi su una o più componenti generano impatti sui risultati proporzionali all’intervento stesso (un chiaro esempio e il modello definito dalla Corporate Executive Board Company – fig. 1).

Modelli olistici: nessuna componente è indipendente, le interazioni sono molteplici e non prefigurabili in generale. L’incremento e il decremento delle prestazioni del sistema non sono correlabili alla somma dell’alterazione dei singoli driver, ma vanno compresi alla luce del cambiamento che producono nell’intero sistema. I modelli olistici sono più recenti e stanno emergendo nella prassi professionale di pari passo all’orientamento, più generale, di concepire e rappresentare le organizzazioni come sistemi complessi.

Un modello Olistico

Figura Box 1
Figura Box 1

Il modello di Mercer (sviluppato sulla base del Sales System di Miller Heiman) si fonda sull’assunto che, in generale, non è possibile individuare un preciso nesso di causalità tra i driver; al contrario, si può solo stabilire, a grandi linee, la loro interdipendenza.
Il Cliente – unico elemento esogeno al sistema – è il perno attorno al quale ruota il modello. Il Cliente deve essere “qualificato” attraverso una serie di scelte strategiche di segmentazione e decisioni conseguenti, che riguardino la definizione dei canali di relazione con il mercato e la value proposition: ogni qualvolta il management interviene su una di queste scelte, il sistema complessivo richiede un allineamento conseguente e coerente. Per gestire efficacemente il cliente target è indispensabile preordinare processi, metodologie e strumenti adeguati. La sales execution è vista come la risultante di tre macroprocessi:
1. la generazione delle opportunità al fine di produrre un flusso predicibile e gestibile di opportunità (pipeline di vendita);
2. la gestione delle opportunità, per assicurare una conversione veloce e consistente (alta percentuale di successi) delle opportunità in risultati;
3. la gestione delle relazioni ingegnerizzata, per pianificare e programmare iniziative mirate allo sviluppo e alla fidelizzazione di ogni singolo Cliente chiave.
Un’abilitazione efficace di questi processi dipende dalle componenti indicate nei due “cerchi esterni”:
– nel più interno sono evidenziate le scelte che riguardano, soprattutto, la definizione della struttura: il modello di copertura del mercato, l’assetto organizzativo, la definizione dei ruoli, il modello di guida dei venditori (leadership) e lo sviluppo delle competenze di vendita;
– nel più esterno sono presentate le scelte relative alla definizione dei meccanismi di funzionamento: modalità di reclutamento, formazione, governo e definizione degli obiettivi, sistemi incentivanti e tecnologie di supporto.

 

Anche nella nostra comunità professionale (practice Sales Effectiveness di Mercer) abbiamo di recente abbandonato un modello causale per uno olistico (Box.1), nella convinzione che quest’ultimo sia più adatto a rappresentare la complessità delle scelte e delle interazioni che presiedono al risultato di vendita.
Naturalmente, questa scelta va a discapito dell’esigenza pratica di qualificare già con il modello rapporti di preminenza e dipendenza univoci tra i diversi driver. Dal nostro punto di vista, tuttavia, questa esigenza deve trovare una soluzione declinando il modello nella situazione specifica di un certo settore o di una certa impresa, e non può essere predefinita in via generale.

Figura 1
Figura 1

2. Ritaratura dei driver e sistemi di assessment

In ragione di quanto è stato detto, le direzioni hanno cominciato ad abbandonare approcci limitati e interventi circostanziati a singoli aspetti del sistema di vendita. Si è consolidata, infatti, la convinzione che agire su un solo driver consente di realizzare guadagni rapidi nell’immediato, che, spesso, però, nel tempo portano scompensi di sistema e nuovi problemi.
In generale, tuttavia, non è possibile reimpostare l’intero sistema di vendita in tempi coerenti alla domanda di risultati delle direzioni; nasce, da qui, la necessità di identificare un numero ristretto di interventi sinergici, a basso costo e alto impatto. Per questo motivo gli stessi autori dei modelli descrittivi hanno spesso messo a punto modalità di assessment “ingegnerizzate” per designare l’insieme dei driver prioritari da ritarare. Queste modalità di assessment differiscono tra loro proprio in quanto sono costruite sulla base di diversi modelli descrittivi dei driver, ma condividono tutte lo stesso meccanismo di definizione delle priorità di intervento.
Tale meccanismo si fonda su:

– l’utilizzo di due misure: la competenza dell’organizzazione nel dominare un driver, il suo impatto sul risultato di vendita: “First each decision or process (driver) is evaluated in terms of how competent, or how good, the selling organization is at that decision or process. Second, each decision or process is evaluevaluated in terms of the impact the decision or process has on the selling organization’s ability to succeed. An assessment and prioritization matrix, the competency/ impact matrix, can be developed using these two measures as the axes”. (The Complete Guide to accelerating sale force performance, A.A Zoltners e G.A. P. Sinha);

– l’assunto che gli interventi più efficaci sono quelli che incidono sui driver peggio gestiti dall’organizzazione e a più alto impatto sui risultati finali.
Come per tutti i metodi di assessment, il problema centrale che gli autori hanno dovuto affrontare ha poi riguardato l’oggettività delle misurazioni.
Per quanto riguarda la valutazione della competency, il problema è stato superato in maniera univoca attraverso sistemi di grading basati su comportamenti gestionali e prassi osservabili, dal punto di vista metodologico analoghi a quelli sviluppati per le competenze manageriali (fig.2: esempio di grading di una competency). Le soluzioni adottate per la valutazione dell’impact sono, invece, divergenti: in alcuni modelli sono lasciate al giudizio assoluto del management, in altri, invece, la valutazione del management è ottemperata da bench mark di riferimento, ottenuti attraverso l’osservazione delle organizzazioni Best Performer (ad esempio, Mercer Tesi dispone di un data base di rilevazioni sulle aziende best performer che consente di qualificare quali sono i driver a maggior impatto).

Figura 2
Figura 2

3. Eterogeneità delle performance, opportunità di miglioramento e discipline di vendita

Nella maggior parte dei casi, quando, oggi, una direzione commerciale decide di riorganizzare il proprio sistema di vendita, si pone come obiettivo prioritario la riduzione dell’eterogeneità delle prestazioni dei venditori (fig.3).
Infatti, osservazioni empiriche e indagini mirate (box 2) hanno posto in evidenza l’ampiezza della dispersione che caratterizza le performance di vendita.
Con un’approssimazione molto vicina alla realtà, si può sostenere che il 30-40% dei venditori che fanno parte di un’azienda che non governa con attenzione la propria sales effectiveness risulti sotto-performante (non riesce a conseguire il target assegnato).
È chiaro, perciò, che la via più immediata per incrementare i risultati passa attraverso il miglioramento delle performance dei venditori dell’ultimo quartine.

Figura 3
Figura 3

La modalità, ormai consolidata nella prassi, per ridurre il divario tra top performer e venditori medi prevede la costituzione di una disciplina aziendale di vendita, fondata sulla codificazione delle best practices dei migliori venditori, mediante l’ingegnerizzazione dei processi di approccio al Cliente: “If we can emulate what eagles (top performer) do and give journey men (average performer) a replicable process that defines the eagles behavior, they can become more successful, consistent performers. If we can get eagles to see the value in using process they can become more consistent and really unbeatable”. (Solution Selling®- Instructor Guide 2002).
Questa operazione è facilitata da metodologie (ad esempio, Strategic Selling o Solution Selling) che mettono a disposizione due componenti essenziali all’operazione:

– una semantica sperimentata (per formalizzare in processi le prassi di vendita dei best performer);
– una serie di strumenti didattici efficace (per diffonderne l’adozione del processo ottimale presso tutta la popolazione dei venditori);
L’ingegnerizzazione dei processi di vendita è finalizzata, in primo luogo, a organizzare e disciplinare le attività della sales execution e dei singoli venditori, ma costituisce anche la base per:

– dare metodo all’azione di coaching degli area manager, definendo tattiche di intervento sui gap ricorrenti dei venditori (rilevabili attraverso l’osservazione di mis-performance caratteristiche di alcuni passaggi del processo di vendita);
– monitorare lo stato di avanzamento delle opportunità (da prospect a won), valutandone la conformità o meno ai percorsi delineati dai processi ottimali;
– tarare la produzione dei supporti di marketing (materiali illustrativi, argomentazioni ecc.) sulle situazioni (codificate) di impiego da parte dei venditori.

Nei casi migliori, infine, la formalizzazione di una disciplina aziendale della vendita costituisce il punto di partenza per una gestione dinamica della conoscenza e dell’apprendimento all’interno della comunità dei venditori, e permette di creare un knowledge management delle vendite. Infatti le attività codificate e condivise sono la base indispensabile per riconoscere e mettere in comune aspetti differenziali dell’esperienza individuale, suscettibili di rappresentare dei migliorati validi per tutti.
Nei casi peggiori, invece, queste iniziative danno vita a un approccio tayloristico all’azione di vendita che, in genere, è rifiutato dai venditori, proprio per l’incapacità di valorizzare possibili contributi individuali.

Misure significativeIl 40% dei venditori sotto target viene “compensato” dai risultati del 20% top performer.
Una prova quantitativa di quanto illustrato nell’articolo emerge dalle indagini sull’“Eccellenza Commerciale” condotte da Mercer Tesi con il CFMT (Centro di Formazione del Management del Terziario) a partire dal 2005.
Il quesito “Nell’ultimo anno quale percentuale dei vostri venditori ha conseguito i target di vendita assegnati?” è stato posto a circa 300 direttori commerciali e vendite di aziende italiane in tre edizioni successive dell’inchiesta (2005-2008-2009).

Figura Box 2
Figura Box 2

Nelle tre edizioni è emerso che circa il 60% dei venditori consegue gli obiettivi prefissati.
Nel corso dell’ultima indagine condotta (2009), il 62% dei venditori del campione ha conseguito il target (riferito all’anno 2008). Inoltre, appare (fig.5) molto elevata la discrepanza intorno al risultato medio: infatti, mentre il 25% delle aziende fa registrare una quota significativa di venditori a target (più dell’80%), più del 35% del campione dichiara che tale quota, nel loro caso specifico, si ferma ben al di sotto del 50%.
In una sintesi estrema ma rappresentativa, si può affermare che per quasi 4 aziende su 10 il raggiungimento degli obiettivi fissati per i singoli venditori sembra una scommessa più azzardata del lancio di una moneta. Nonostante questi dati preoccupanti, circa il 70% degli intervistati si dichiara soddisfatto della performance complessiva della propria struttura di vendita. A questo proposito occorre rilevare che i top performer (il primo 20% dei venditori) realizza circa il 50% dei fatturati. Questi dati non sono legati alla realtà italiana: misure analoghe sono evidenziate nella ricerca Globale di CSOInsights, “Sales Performance Optimization”, del 2008.

 

Le idee al lavoro: il caso Rovagnati

Tre anni fa ho incontrato la direzione commerciale della Rovagnati, che mi ha esposto un’idea originale e affascinante: aumentare il fatturato dell’azienda (leader nel settore dei salumi di alta qualità all’interno della distribuzione tradizionale – salumerie in primis, ma anche alimentari, macellerie, panetterie ecc.) nel contesto di un mercato in contrazione che, in genere, viene abbandonato o gestito senza concedergli una grande attenzione.
La direzione di Rovagnati, per porre in pratica tale strategia, era cosciente della necessità di disporre di una struttura di vendita efficace, capace di selezionare i Clienti dotati del potenziale maggiore e di avere un alto tasso di traduzione delle visite in vendite, in grado di eccellere nel cross selling (utilizzando l’ampia gamma di prodotti disponibili) e nella negoziazione. In assenza di questi requisiti si andava incontro al rischio di spingere i venditori a correre di più senza incrementare i risultati.

Consapevoli del rischio, abbiamo messo a frutto varie idee condivise. Siamo partiti da un assessment della rete di vendita attiva sul canale tradizionale che, alla luce del nostro modello, mostrava opportunità di miglioramento e alcuni punti di forza significativi.
L’analisi della gestione delle opportunità rivelava, in generale, il mancato utilizzo della scala degli sconti, ovvero la concessione a tutti i clienti del massimo sconto possibile. Inoltre, si è riscontrato un range selling molto difforme: i migliori venditori, mediamente, vendevano ai loro clienti più fedeli 2 o 3 categorie di prodotto in più rispetto alla media.
L’analisi della generazione delle opportunità metteva in evidenza una certa difficoltà dei venditori medi ad acquisire nuovi clienti: si trattava di tentativi timidi, che portavano spesso scarsi risultati, nonostante la disponibilità di tempo e mezzi.
L’analisi della gestione delle relazioni dimostrava che il punto di eccellenza della struttura consisteva nella fidelizzazione del cliente, anche grazie alla forza dei prodotti di punta (Gran Biscotto, sopra tutti): una volta entrati nel banco del Cliente, era raro che non venissero acquistati di nuovo.
L’analisi dei meccanismi e delle strutture a supporto della sales execution evidenziavano:

– la disponibilità di un gruppo di Area Manager competente sia in materia di prodotto che di vendita, ma con comportamenti di leadership da affinare: erano stati eccellenti venditori, ma non disponevano di un modello di sales management adeguato ai loro uomini;
– la mancanza di un sistema di valutazione delle competenze (talenti) dei venditori e l’assenza di meccanismi di intervento per un loro adeguamento (formazione sul campo e in aula);
– un sistema incentivante, stimolante, che premiava il conseguimento degli obiettivi complessivi di periodo, ma trascurava componenti di performance quali la gamma venduta o i prezzi negoziati, leve essenziali per uno sviluppo continuativo.
Queste componenti non erano neppure sostenute da un adeguato meccanismo di goal setting; – le tecnologie utilizzate per mettere a disposizione informazioni e dati a tutta la struttura potevano essere migliorate.
Di fronte a questa analisi, il problema che ci siamo posti non è stato “cosa fare?” – o, soprattutto, “cosa tralasciare?” – ma, coerentemente con le nostre idee, ci siamo domandati “come fare” per ri-tarare il sistema complessivo e accrescere la sales effectiveness della struttura. “Come fare?”.

La rete di vendita è una collettività di soggetti che abitualmente viene attivata per mezzo di campagne: il lancio di un nuovo prodotto, il canvas ecc. Per questo motivo, in Mercer pensiamo che l’introduzione di un cambiamento in una struttura di vendita sia agevolato dall’impiego del pattern della campagna.
Alla luce di questa convinzione, abbiamo configurato e lanciato due campagne nell’arco di sei mesi che apportavano cambiamenti strutturali e organizzativi, destinati a perdurare anche al termine delle iniziative.
La prima campagna ha riguardato l’acquisizione di nuovi clienti e ha comportato le seguenti attività:

– gli Area Manager sono stati messi al corrente dei contenuti della campagna e delle attività; sono stati formati per monitorare le prestazioni di acquisizione dei venditori e per intervenire attenendosi a modalità di coaching strutturate e predefinite in base alle problematiche;

– il marketing, ogni quindici giorni, ha fornito ai venditori una lista di clienti potenziali da visitare nelle due settimane successive. Le stesse liste venivano messe a disposizione degli Area Manager per le azioni di monitoraggio;

– gli Area Manager, opportunamente addestrati, hanno accompagnato l’attivazione dell’iniziativa nei loro territori con iniziative strutturate per diffondere modalità di approccio efficace ai nuovi clienti in occasione di una prima visita;

– la Direzione di produzione ha messo a disposizione on line un manuale argomentativo incentrato sul prodotto e ha organizzato una serie di incontri di formazione tecnica per i venditori;

– la Direzione vendite ha assegnato obiettivi mensili personalizzati (numero di clienti acquisiti) e un premio corrispondente.

La seconda campagna ha avuto come oggetto il prezzo medio negoziato – ovvero l’utilizzo della scala sconti – e il cross selling. I passaggi sono stati, con gli opportuni aggiustamenti in base ai contenuti, analoghi a quelli della campagna precedente.
Le due campagne hanno consentito un miglioramento dei risultati commerciali – una crescita della base Clienti del 10%, un miglioramento del prezzo medio negoziato del 2%, un aumento del 300% delle categorie medie vendute a clienti stabili – ma sono state, soprattutto, uno strumento di change management che ha portato, quasi sottotraccia, l’introduzione di:
– un modello di leadership supportiva, fondato sulla capacità del capo area di riconoscere, attraverso dati e affiancamenti, le specifiche aree prioritarie di miglioramento del singolo venditore per intervenire con azioni mirate;
– un sistema di assegnazione degli obiettivi e un sistema incentivante, in grado di spingere e premiare comportamenti essenziali per l’aumento della base clienti e della redditività della relazione con questi ultimi;
– una nuova reportistica di vendita, capace di monitorare la performance e i suoi fattori determinanti, andando oltre la semplice presa di coscienza dei divari di risultato;
– un processo di vendita di riferimento per la gestione del primo colloquio con il cliente potenziale e l’introduzione di nuovi prodotti presso il cliente fidelizzato (cross selling); – un modello di adeguamento delle competenze, fondato su iniziative integrate di formazione sul campo, in aula e attraverso strumenti on line

Conclusioni

Ho riportato l’esperienza Rovagnati ovviamente perché rappresentativa delle idee esposte nei paragrafi precedenti e, quindi, molto distante dagli approcci tradizionali (propensi ad affrontare un singolo problema per volta), ma, soprattutto, per mettere in evidenza come una revisione significativa dell’organizzazione di vendita sia realisticamente praticabile nel breve termine purché vengano rispettati due presupposti: modalità operative pragmatiche – capaci di far percepire ai venditori uno stretto collegamento tra gli sforzi e l’opportunità di miglioramento delle performance – e una forte sponsorship dell’alta direzione.

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FabbricaFuturo è il progetto di comunicazione rivolto a tutti gli attori del mercato manifatturiero (responsabili delle direzioni tecniche, imprenditori e direzione generale, responsabili organizzazione e HR) che ha l’obiettivo di mettere a confronto le idee, raccontare casi di eccellenza e proporre soluzioni concrete per l’azienda manifatturiera di domani.

Nasce nel 2012 dalla rivista Sistemi&Impresa come reazione alla crisi finanziaria del 2011. Negli anni il progetto è cresciuto significativamente, parallelamente alla definizione di politiche pubbliche in ambito industria 4.0 (Piano Calenda e successivi).
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