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Tecnologia, design e made in Italy Grivel con gli alpinisti del mondo

| FabbricaFuturo |

di Dario Colombo, caporedattore – ESTE

Nel 1818 il fabbro ferraio di Courmayeur s’inventò un nuovo business. Fornire attrezzature agli appassionati delle scalate sul Monte Bianco. Dopo quasi 200 anni, l’azienda è uno primi player mondiali del settore. E nel 2016 il suo moschettone Twin Gate ha vinto il Compasso d’Oro      

Correva l’anno 1818: l’Italia era ancora divisa in Regni e ad Aquisgrana, in Germania, l’Impero Austriaco e quello Russo, insieme con il Regno di Prussia e il Regno Unito, erano riuniti nell’omonimo Congresso per firmare un protocollo segreto che rinnovava la Quadruplice Alleanza anti- francese dopo la vittoria di Waterloo su Napoleone Bonaparte, che nel frattempo viveva i suoi ultimi anni in esilio sull’isola di Sant’Elena.
In un piccolo paese di montagna ai piedi del Monte Bianco, invece, iniziava un’altra storia, quella di Grivel. “A quei tempi il fabbro ferraio di Courmayeur, Henry Grivel, trasformava gli attrezzi agricoli per soddisfare le esigenze di una nuova generazione di turisti con la passione per la montagna”, ricorda Gioachino Gobbi, patron di quella che in quasi 200 anni di storia è diventata un’azienda da circa 10 milioni di fatturato e che oggi è leader mondiale del settore grazie ai prodotti per l’alpinismo (piccozze, ramponi, caschi, chiodi da ghiaccio e da roccia, ma anchezaini e guanti professionali) rigorosamente made in Italy. Se a Courmayeur c’è l’headquarter, è nella Grivel Nord Est di Vivaro in Provincia di Pordenone che sono realizzate le produzioni più pesanti sotto il profilo metalmeccanico. Ma l’azienda ha filiali anche all’estero, dalla Francia agli Usa e al confine tra Germania e Austria.

 

L’innovazione nel Dna
Il cuore dell’azienda resta tuttavia in Valle d’Aosta. Il Monte Bianco, infatti, è considerato la “Mecca” degli alpinisti: è qui che si è sviluppata la disciplina con la prima ascensione datata 1786. Ad accogliere i pionieri dell’alpinismo, almeno a Courmayeur, c’era il fabbro che ideò la prima piccozza che portava il suo nome. E che a inizio Novecento realizzò i primi moderni ramponi su richiesta dell’ingegnere inglese Oscar Eckenstein.
Fu però Laurent Grivel a dare la vera svolta nel 1929: “Grazie alla sua geniale invenzione delle due punte frontali rivolte verso l’avanti che permetteva agli scala-tori di affrontare direttamente la parete evitando i lunghi traverso laterali”, spiega Gobbi. Un’innovazione di portata mondiale, visto che fu la chiave per conquistare la parete Nord dell’Eiger, avvenuta tra il 21 e il 24 luglio 1938 e che fino ad allora aveva rappresentato uno dei principali problemi alpinistici.
“Da 200 anni facciamo le stesse cose”, sorride il patron di Grivel, che evidenzia con soddisfazione come la sua azienda sia un esempio di come si possa dare valore a un prodotto legandolo al territorio. Una scelta che sta caratterizzando la gestione di Gobbi che ha puntato – con importanti investimenti – nella ricerca e sviluppo di un prodotto sempre più competitivo e certificato. D’altra parte l’innovazione è nel Dna dell’azienda che ha messo la firma su tante imprese dell’alpinismo; per esempio, sono stati i ramponi Super Leggeri Grivel (appena 360 grammi di peso) a essere stati utilizzati per conquistare le tre vette più alte del mondo: l’Everest nel 1953, il K2 nel 1954 e il Kangchenjunga nel 1955. Un’idea venuta ad Amato Grivel, fratello minore di Laurent, che nel 1936 ebbe l’intuizione di utilizzare la lega d’acciaio nichel-cromomolibdeno, ottenendo un prodotto la cui leggerezza era fino a quel momento impossibile.
“Per convincere a comprare i nostri prodotti siamo costretti a continuare a inventare e quindi a investire in ricerca e sviluppo”, conferma Gobbi, che non nasconde come tutto parta dal cliente: “È pensando ai vantaggi che possiamo offrire alla nostra clientela che introduciamo le innovazioni”.

 

Il 92% del fatturato dall’export
Una decisione che ha pagato, visto che l’azienda valdostana, oltre ad aver fatto la storia dell’alpinismo, oggi è tra i principali player a livello mondiale: “Esportiamo il 92% dei nostri prodotti, raggiungendo 36 Paesi”, conferma il patron di Grivel. Oggi, infatti, dalle pendici del Monte Bianco, l’azienda raggiunge mercati sparsi in tutto il globo “compreso il Sudafrica da cui partono le spedizioni per l’Antartide”. Ma non solo: “Ultimamente abbiamo acquisito clienti nell’Est Europa e il mercato è interessante anche in India, Pakistan e Nepal. Guardiamo pure alla Cina: in Tibet ci sono montagne destinate a trasformare i cinesi in alpinisti”, continua Gobbi.
Considerando che il Paese del Dragone, secondo l’ultimo rapporto di Hurun, il Forbes cinese, per il primo anno ha più miliardari rispetto agli Usa è inevitabile, allora, che un’azienda con una vocazione per l’export possa rivolgersi con interesse alla Cina.
Il segreto del successo di Grivel è di certo l’esperienza centenaria del marchio, conosciuto da tutti gli esperti di alpinismo, ma pure la decisione di preservare il made in Italy: “Non compriamo nessun prodotto all’estero per poi rivenderlo in Italia”, precisa Gobbi. “Acquistiamo alcuni componenti che sono tutti controllati, perché la nostra produzione deve rispettare gli standard imposti dall’Unione europea, trattandosi di dispositivi per la protezione individuale”. Non a caso Grivel ha ottenuto nel corso del tempo tutte le certificazioni di qualità possibili: “Siamo stati tra i primi a occuparci di questi aspetti nel nostro settore”. La prima risale al 1992 per la qualità del prodotto (Tuv Gs); la Iso 9001 – Vision 2000 nel 1996 per il sistema di gestione di qualità; la Iso 14001 del 2004 per la compatibilità ambientale. Tutti aspetti che hanno permesso all’azienda valdostana di tornare a impossessarsi del suo ruolo nel mercato dopo il periodo difficile che ha preceduto la gestione Gobbi.
I cui successi sono stati certificati anche dal riconoscimento del 2009 di “Miglior imprenditore valdostano” per la guida di Grivel, considerata un “esempio splendido di multinazionale tascabile made in Italy”.

Tecnologia e stampa 3D
Se alla base del successo dell’impresa valdostana ci sono storia e innovazione di prodotto, anche la tecnologia fa la sua parte. Che rimanda al già citato discorso sulla ricerca e sviluppo. Per esempio per la riduzione del peso dei prodotti: “La no- Produzione di stra produzione deve essere costantemente trasportata e il peso ha un’importanza basilare; poi il pubblico apprezza molto la scelta di avere prodotti affidabili, ma leggeri e per questo studiamo costantemente l’applicazione di leghe come quelle usate nell’aeronautica”, fa sapere Gobbi.
La tecnologia si traduce anche in soluzioni che rendono più snella la produzione. “Per noi è un toccasana”, argomenta il patron di Grivel. “Ciò che ci permette di raggiungere i nostri clienti a un costo accettabile per una Pmi è Internet; inoltre consente di controllare la produzione in maniera efficace”. Ecco allora che in azienda trovano spazio sistemi CAD/CAM per la progettazione, ma pure stampanti 3D con cui “si visualizza concretamente il prodotto pensato poco prima”. Ma l’innovazione in ambito additive manufacturing, per Gobbi non si esaurisce qui: “Stiamo valutando di fornire i nostri clienti di soluzioni di stampa 3D per non spedire più i campioni in giro per il mondo”.

Compasso d’oro col Twin Gate
Le strategie di crescita di Grivel e i suoi prodotti sempre innovativi non sono passati inosservati neppure alla giuria del Compasso d’oro, il più antico e autorevole premio mondiale di design nato da un’idea di Gio Ponti e che dal 1954 è organizzato dall’Associazione per il disegno industriale (Adi). L’azienda valdostana, infatti, si è aggiudicata il Compasso d’oro 2016 grazie a Twin Gate, che Gobbi definisce come “il moschettone più sicuro mai prodotto”, grazie alle “due aperture contrapposte” che “in un mercato immutabile ha dato una forte scossa”. E che appunto è arrivata fino ai vertici dell’Adi.
“Il Twin Gate, oltre a essere rivoluzionario per la sua efficacia, solidità e leggerezza, è curato anche nel design”, ci tiene a spiegare il patron di Grivel. Che racconta come il suo moschettone abbia superato una concorrenza spietata di circa 2.400 prodotti, poi scesi a 100 dopo la prima scrematura effettuata dalla giuria. “Dopo aver girato il mondo ed essere stato esposto a Milano, Torino e Shanghai, il Twin Gate è stato premiato”, ricorda Gobbi con soddisfazione. “Siamo stati la prima azienda valdostana e la prima del nostro settore a vincere il Compasso d’oro”, gongola il numero uno di Grivel. Un nuovo tassello nella storia secolare dell’impresa. Destinata a raggiungere nuove vette.