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Migliorare le performance dei processi di servizio attraverso il Lean Thinking

| FabbricaFuturo |

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Nel tempo, il mondo delle imprese ha applicato filosofie gestionali e strumenti per migliorare le proprie performance. Tali applicazioni sono sempre state strumentali al raggiungimento di miglioramenti imposti dalle condizioni di mercato. Gli anni ‘70 e gli inizi degli anni ‘80 sono stati caratterizzati dall’esigenza di conseguire miglioramenti significativi dell’efficienza, che nel mondo industriale è culminata nei progetti di automazione anche molto spinta (Computer Integrated Manufacturing) e nei servizi ha visto la revisione e informatizzazione delle procedure. Dalla seconda metà degli anni ‘80 è cresciuta l’attenzione per il cliente, prima attraverso un rinnovato interesse verso la qualità, successivamente attraverso la ricerca del miglioramento radicale del livello di servizio al cliente (riduzione drastica dei tempi di consegna con l’utilizzo del Just in time). Negli anni ‘90 è nato il Lean Thinking.

A cura di:
Roberto Bugatti, Mba Bocconi, esperto di Service Management, è Lean Management docente e ricercatore presso Liuc Ricerca e Formazione – la Business School dell’Università Carlo Cattaneo
Attilio Ragusa, Laurea in Economia e Commercio – Bocconi, esperto di Manufacturing e Lean Management. Consulente di direzione in numerosi progetti per l’implementazione del lean sia in ambito manifatturiero, sia in imprese di servizi

Lean Thinking: moda manageriale o opportunità?

Negli anni ‘90, il Lean Thinking si è affermato nel mondo industriale, partendo dal noto libro di Womack e Jones: “La macchina che ha cambiato il mondo”, che ha concettualizzato il modello sviluppato dagli ingegneri giapponesi via via che è stato implementato il modello produttivo Toyota (Toyota Production System). Questo modello di gestione è stato per un certo tempo guardato con scetticismo nel mondo occidentale, adducendo il motivo che alcuni principi fossero applicabili solo in Giappone, grazie alle particolari caratteristiche culturali di quel paese. Nel tempo, tuttavia, si è moltiplicato il numero di aziende che ha adottato i principi di gestione applicati in Toyota. Inizialmente, tale diffusione ha coinvolto il settore automotive e via via si è esteso dapprima nel resto del mondo industriale e da qualche anno ha trovato applicazioni anche nel mondo dei servizi.

Ma quali sono le ragioni di fondo che hanno favorito il suo successo? A nostro avviso le motivazioni possono essere ricondotte almeno a due aspetti fondamentali:

1. Il Lean Thinking è orientato per sua natura al concetto di valore, inteso come ciò che il cliente desidera (e che è disposto a pagare!). Il Lean Thinking è pertanto per sua natura coerente con le moderne strategie di mercato, che mettono al centro dell’attenzione il singolo cliente e le sue esigenze;

2. Il Lean Thinking scardina il paradigma secondo cui le performance di costo, qualità e servizio hanno una correlazione inversa: secondo tale assunto, non si potrebbe migliorare le condizioni di servizio (qualità e/o consegna) al cliente senza un aggravio dei costi sostenuti e, quindi, in linea di principio, senza richiedere a parità di margine una maggiorazione di prezzo al cliente.

Il Lean Thinking si afferma quindi come metodologia in grado di agire sul livello di soddisfazione del cliente (attraverso radicali miglioramenti di qualità e servizio) e, contestualmente, migliorare l’efficienza interna (attraverso la lotta e riduzione di ogni forma di spreco).

Le aziende che hanno intrapreso l’applicazione dell’azienda snella industriale sono riuscite a raggiungere un positivo riposizionamento di mercato, testimoniato da una maggiore soddisfazione dei propri clienti e l’aumento della penetrazione di mercato, e incrementare radicalmente l’efficienza, ottenendo il miglioramento della redditività grazie a una riduzione dei costi. L’opportunità per le aziende, sia industriali sia di servizio, è quindi di avviare un percorso di cambiamento (più o meno graduale) in grado di influenzare significativamente il conto economico dell’azienda, sia attraverso l’aumento dei ricavi, sia attraverso la riduzione sistematica dei costi operativi.

Applicabilità nelle aziende di servizio e nei processi ‘non-manufacturing’

La filosofia del Lean Thinking è riassunta da Womack e Jones come segue: “… è un modo di fare di più con sempre meno (meno risorse umane, meno attrezzature, meno spazio), avvicinandosi sempre di più al cliente e offrendogli esattamente quello che vuole”. Al di là dell’enunciazione, che rischia di trasformarsi in uno slogan, il Lean ha sviluppato una solida metodologia fatta di principi, di tecniche per il ridisegno di processi e sistemi gestionali, di strumenti per il miglioramento fornendo, a chi decide di intraprendere il percorso di implementazione dell’organizzazione snella, una vera e propria cassetta degli attrezzi.

Le motivazioni che hanno spinto le aziende ad abbracciare l’approccio Lean sono diverse. A nostro avviso ci sono almeno tre aree di risultato che un’azienda di servizio può proporsi di ottenere con la Lean e che possono costituire lo stimolo per intraprendere questo tipo di percorso:

• Riduzione dei costi operativi;

• Miglioramento del servizio al cliente;

• Miglioramento organizzativo interno.

Riduzione dei costi operativi

Uno degli elementi che caratterizzano la metodologia Lean, forse quello più noto, è la ricerca sistematica degli sprechi e la loro eliminazione (o riduzione drastica). L’approccio si contraddistingue, in primo luogo, per la definizione che viene data di spreco (in giapponese: ‘Muda’), ovvero qualsiasi cosa che non aggiunge valore direttamente al servizio o non contribuisce alla realizzazione del servizio. In questo modo molte delle attività accessorie finalizzate al funzionamento aziendale o delle condizioni operative ritenute in genere necessarie costituiscono, in ottica cliente, degli sprechi. La riduzione degli sprechi non è vista fine a se stessa, ma come mezzo per garantire al cliente un servizio migliore a prezzi più competitivi: nella filosofia Lean, i benefici prodotti dalla caccia agli sprechi, per essere realmente tali, devono essere ribaltabili sul cliente.

Secondo il modello di riferimento proposto da Womack e Jones nel loro testo, gli sprechi dei processi possono essere classificati in sette differenti tipologie (vedi Fig. 1). FIG1Nelle applicazioni dell’approccio Lean alle aziende di servizio si è soliti aggiungere un’ottava tipologia.

1)   Processing. La prima categoria di spreco è costituita dalle lavorazioni superflue, che si possono manifestare sotto forma di:

• Duplicazione di attività che generano output equivalenti (per es., elaborazioni che producono lo stesso tipo di informazione);

• Raccolta e organizzazione di dati non utilizzati (per es., report che non risultano utili a nessuno);

• Autorizzazioni superflue (per es., visti autorizzativi non associati a effettiva attività di controllo). • In ottica di riprogettazione del processo, le lavorazioni superflue andranno eliminate.

2)   Correction. La seconda categoria di spreco è costituita dalle rilavorazioni che sono rivelatrici della bassa ‘solidità’ del processo, cioè della sua incapacità di intercettare la difettosità nel momento in cui si manifesta, lasciando che questa comprometta il servizio finale. Tipiche rilavorazioni che si presentano negli uffici sono:

• Correzioni di errori nei documenti (per es., l’inserimento di un’anagrafica errata si traduce nella presenza nel Database clienti di più riferimenti per lo stesso soggetto, che comporterà una difettosità nel momento di avvio di una campagna di Direct Marketing);

  • Ricollocazione di documenti negli archivi (per es., l’incapacità di gestire al meglio gli archivi si traduce in attività straordinaria di ‘pulizia’).

In ottica di riprogettazione del processo sarà necessario agire su due leve:

a) Sostituzione di sistemi di controllo qualità collocati alla fine del processo, con pratiche di controllo diffuse lungo il processo basate sulla responsabilizzazione dei singoli operatori sul proprio lavoro e su quello del collega a monte;

b) Implementazione di processi più robusti, ad esempio attraverso sistemi ‘a prova di errore’ (in giapponese ‘Poka Yoke’).

3) Over-Production. La terza tipologia di spreco è la sovrapproduzione, cioè produzione che anticipa la domanda. Uno dei problemi del lavoro realizzato in anticipo è che rischia di diventare obsoleto. Tipicamente, negli uffici la sovrapproduzione si presenta sotto forma di:

• Reportistica realizzata in anticipo, per prevenire richieste future, sulla base di dati incompleti;

• Elaborazioni di sistema lanciate prima che i dati alimentanti siano definitivi, con il rischio che successivamente sarà necessario lanciare una nuova elaborazione.

In ottica di riprogettazione del processo sarà necessario ripensare le logiche di programmazione delle attività ed eventualmente le sequenze di lavoro, puntando all’eliminazione di attività ‘prodotte’ in anticipo.

3)   Motion. La quarta tipologia di spreco è costituita dal movimento non produttivo di persone. Questa tipologia di spreco è riconducibile a lay-out fisici non ottimizzati rispetto ai processi di lavoro, o a condivisione di risorse tra diversi uffici (per es. stampanti) che possono comportare costi effettivi superiori ai risparmi. Tipicamente, negli uffici il movimento non produttivo si presenta sotto forma di:

• Spostamenti molto frequenti di persone tra uffici e scrivanie, per consegnare e acquisire documenti;

• Spostamenti delle persone verso strumenti di lavoro condivisi (per es., fax, fotocopiatrici, ecc.);

• Spostamento delle persone verso archivi collocati lontano rispetto al luogo in cui si svolge il processo di lavoro che li alimenta. In ottica di riprogettazione del processo sarà necessario ripensare il lay-out fisico, ottimizzando lo spazio in relazione alle attività.

5) Material Movement. Quinta tipologia di spreco è quella della movimentazione non necessaria di materiali, tipicamente report o pratiche fisiche che vengono spostate da un luogo all’altro. Un tipico esempio è l’invio via posta di documenti in originale tra una sede e l’altra, quando basterebbe l’invio via e-mail di singoli dati puntuali o, al limite, di una copia scannerizzata. Il risultato è quello di allungare i tempi di gestione senza aggiungere valore al servizio reso. In ottica di riprogettazione del processo sarà necessario ripensare il lay-out fisico, ottimizzando lo spazio in relazione alle attività, ma anche ripensando le modalità operative.

6) Waiting. La sesta tipologia di spreco è costituita dalle attese. Con il termine ‘attesa’ identifichiamo il tempo durante il quale una pratica o un documento giacciono, senza essere utilizzate da nessuno. Le attese si manifestano più frequentemente in processi articolati su più unità organizzative, siano esse reparti, uffici, direzioni della stessa azienda o addirittura aziende differenti, quando la pratica o il documento passa da un’unità all’altra. La causa delle attese è l’assenza di bilanciamento nella capacità produttiva delle fasi del processo, per cui il beneficio teorico dato dall’alta produttività di una fase viene vanificato dal fatto che il processo viene rallentato nella fase successiva. In ottica di riprogettazione del processo sarà necessario ripensare il modello di attribuzione delle attività alle diverse unità organizzative, lavorando sul bilanciamento delle operazioni assegnate e la realizzazione della produzione a flusso.

7) Inventory. La settima tipologia di spreco è costituita dai magazzini. Quando parliamo di magazzini nel mondo dei processi ‘non manufacturing’ facciamo riferimento sia a magazzini ‘fisici’, sia a magazzini ‘logici’. I magazzini fisici costituiscono uno spreco, perché comportano costi finanziari legati all’immobilizzazione di capitale (per es., valore dello stock di medicinali per un ospedale) ma anche costi diretti (per es., affitti di spazi occupati da archivi fisici di una banca). I magazzini ‘logici’ sono costituiti da masse di dati e informazioni gestite dai sistemi informativi e non utilizzate. I magazzini ‘logici’ comportano un costo in termini di gestione (si pensi al tempo dedicato a rintracciare una mail nel proprio ‘magazzino’ di messaggi ricevuti) che va valutato in funzione della loro reale utilità. In ottica di riprogettazione del processo sarà necessario eliminare i magazzini inutili e introdurre strumenti di gestione in grado di tracciare le singole pratiche nei diversi stadi di lavorazione.

8) Intellectual. L’ultima tipologia di spreco è rappresentata dalle competenze mal impiegate. È una tipologia introdotta specificatamente per le applicazioni Lean al mondo dei servizi (che quindi, in genere, non compare nella tassonomia utilizzata nel mondo manifatturiero). Questo perché nel mondo dei servizi il fattore produttivo principale è costituito dalle persone, che in molti casi rappresentano anche la voce di costo più significativa: impiegare risorse con competenze non allineate alle reali esigenze comporta uno spreco sia nel caso di competenze in eccesso (il prezzo pagato per remunerare queste competenze non si traduce in valore per il cliente) sia nel caso di competenze in difetto (il valore generato rischia di essere inferiore a quello atteso dal cliente).

In ottica di riprogettazione del processo sarà necessario introdurre strumenti e pratiche di Skill Management.

Miglioramento del servizio al cliente

Mentre l’esercizio di eliminare gli sprechi può apportare significativi risultati in termini di miglioramento dell’economicità nel processo di servizio, da solo non è sufficiente a garantire che il processo stesso sia in grado di rispondere alle esigenze del cliente.

Per illustrare il concetto, prendiamo il caso di una catena commerciale in cui i punti vendita sono responsabili del processo di produzione dei dati sulle vendite giornaliere (volumi, sconti, ecc.) frutto di un’elaborazione che incrocia dati contabili (da scontrino) e dati extra contabili (riparazioni in garanzia, sostituzioni, ecc.). Chiaramente questi dati devono arrivare sulla scrivania del direttore commerciale nel minor tempo possibile a valle della chiusura giornaliera, per permettergli di intraprendere in modo tempestivo eventuali azioni correttive. In questo caso, introdurre l’approccio Lean focalizzandosi sull’eliminazione degli sprechi, affrontando il progetto come un intervento di cost cutting, rischia di non condurre al risultato atteso. L’eliminazione dei ‘Muda’ di processo non fornisce da sola la certezza che il Lead Time (tempo di attraversamento del processo) sia in linea con le aspettative del management.

Quando il focus è il miglioramento delle performance di servizio, il modo corretto di procedere non è tanto quello di concentrarsi sugli sprechi, quanto quello di partire dalla declinazione delle esigenze del client – in questo caso il direttore commerciale – per poi intervenire sul processo riconfigurandolo e rimuovendo anche le attività non a valore. Dati questi presupposti, ciò che secondo la classificazione dei ‘Muda’ è considerato spreco da eliminare può diventare qualcosa di funzionale al raggiungimento dell’obiettivo e, quindi, da mantenere. Nel caso presentato, il direttore commerciale potrebbe richiedere che i dati siano pronti il giorno successivo alla chiusura, entro le ore 12. Nella logica Lean, questo diventa l’obiettivo da raggiungere attraverso la sincronizzazione dell’offerta con la domanda: se il cliente chiede i dati entro le 12, ciò significa che il processo deve essere configurato in modo tale che le diverse unità organizzative coinvolte (punti vendita e uffici centrali) siano in grado di produrli in 3 ore, cioè dalle ore 9 (orario di apertura dei punti di vendita) alle ore 12 del giorno successivo a quello consuntivato.

‘Sincronizzazione’ significa che la produzione ed erogazione dei servizi devono avvenire a un ritmo (Takt time) in linea con le richieste del cliente (interno o esterno) di riferimento, evitando, per quanto possibile, l’accumularsi di scorte. Il fornitore deve ‘pulsare’ allo stesso ritmo del cliente. La realizzazione di tale principio comporta non poche difficoltà sia nel mondo industriale (dove la rigidità degli impianti spesso costituisce un vincolo molto difficile da superare) sia nel mondo dei servizi e degli uffici, dove la ricerca dell’efficienza operativa spesso si traduce in ritardi nel servizio al cliente (esterno o anche interno) e può significare la riprogettazione del modello operativo complessivo. Un esempio interessante è quello dei call center, grandi strutture di servizio dedicate alla gestione di una serie molto ampia di esigenze dei clienti da quelle di informazione commerciale, a quelle amministrative, a quelle di assistenza tecnica. Alcune aziende particolarmente attente al servizio (per es., gli operatori telefonici) hanno visto nella sincronizzazione tra domanda e offerta una strada per generare Valore al cliente e nei loro call center sono quindi passate:

  • Da un modello operativo ‘tradizionale’, in cui la Front Line raccoglie le esigenze del cliente per poi passarle a strutture specializzate di Back Office, che le trattano in maniera asincrona rispetto alla domanda;

• A un modello operativo in cui l’operatore esaurisce la richiesta direttamente quando avviene il contatto con il cliente.

Per realizzare la sincronizzazione, bisogna intervenire su processi operativi, agendo su diverse leve sia sul fronte dell’offerta:

• Azioni su flessibilità (introduzione di operatori multiskill);

• Rimozione di attività inutili;

• Pianificazione delle risorse;

• Utilizzo di risorse interinali;

• Introduzione di supporti operativi specifici.

Sia sul fronte della domanda, cercando di smussare i picchi di richiesta attraverso l’incentivazione dei clienti:

  • A usufruire della prestazione in momenti non di picco;

• Ad avvalersi di strumenti di self care.

Miglioramento organizzativo

Oltre all’obiettivo di ridurre i costi operativi e di migliorare il servizio al cliente, la scelta di condurre un intervento Lean può essere motivata dalla volontà di rimuovere criticità organizzative e di impostare un modello in grado di garantire all’azienda flessibilità e sostenibilità di lungo periodo. Il modello organizzativo di riferimento nel Lean Thinking è quello della lavorazione a flusso, secondo il quale la produzione deve avvenire, per quanto possibile, a pezzo singolo e avanzare lungo le diverse stazioni/fasi senza attese. Questo comporta che le singole attività (operazioni) necessarie alla produzione del servizio siano disposte logicamente e fisicamente in modo sequenziale e che ogni ‘stazione’ lavori su una singola unità di servizio che deve essere passata alla ‘stazione’ successiva appena completata. Il modello operativo descritto, noto come ‘one piece flow’, si contrappone al modello operativo per ‘batch’ (vedi Fig. 2) in cui il lavoro è realizzato in lotti nel tentativo di aumentare l’efficienza di ogni singola fase/unità organizzativa.

FIG2

Nelle organizzazioni incaricate di gestire processi amministrativi è frequente trovare flussi di lavoro articolati in diverse fasi (che chiaramente possono differire in funzione del settore di appartenenza) poste in capo a diversi uffici/unità organizzative:

• Ricezione della pratica;

• Controllo formale della documentazione (si controlla che siano presenti tutti i documenti);

• Istruttoria (controllo sostanziale);

• Attivazione del servizio;

• Autorizzazione;

• Invio della risposta al cliente. La visione parziale del processo e l’estrema specializzazione portano i singoli uffici/unità organizzative a ricercare l’efficienza attraverso soluzioni locali. Abbiamo trovato molte organizzazioni di servizio che adottano la regola (frutto di una scelta consapevole) di evadere tutte le pratiche di un certo tipo (esempio quelle pervenute nel corso della settimana) prima di passarle alla fase (ufficio/unità organizzativa) successiva. Per i responsabili, i benefici sono evidenti in quanto il loro indicatore di riferimento è il numero di pratiche per addetto evase dall’ufficio.

Del tutto sconosciuti sono invece i rischi di questa soluzione; ne citiamo almeno due:

1. Che i tempi di evasione della singola pratica si allunghino notevolmente;

2. Che, a fronte di un non corretto bilanciamento dei carichi di lavoro/organici, in un dato momento alcuni uffici risultino oberati di lavoro, mentre altri abbiano capacità produttiva non utilizzata.

Partendo dalla mappatura del processo e dall’analisi delle performance prodotte nelle diverse fasi, l’approccio Lean diventa una modalità per realizzare analisi organizzative di dettaglio in grado di rivelare incoerenze o incongruenze organizzative e di individuare soluzioni ideali di riallocazione dei carichi di lavoro tra fasi o unità organizzative. Il risultato di un intervento Lean si può spingere fino al completo abbattimento delle barriere organizzative.

Le organizzazioni che più di altre hanno compreso il potenziale di un modello basato su un flusso di lavoro teso, cioè senza interruzioni, hanno introdotto Team multifunzionali organizzati in ‘celle produttive’, del tutto analoghe a quelle introdotte dalle fabbriche Lean, a cui è attribuita la responsabilità dell’intero processo di servizio dall’inizio alla fine, dall’accoglienza della richiesta del cliente alla chiusura.