Manifattura Digitale. Italia: se ci sei, batti uno colpo!

Una survey realizzata dal Laboratorio Research & Innovation for Smart Enterprises (RISE) dell’Università di Brescia indaga se e come nel nostro Paese è in corso la rivoluzione digitale in ambito manifatturiero

di Andrea Bacchetti e Massimo Zanardini

*Laboratorio Research & Innovation for Smart Enterprises, Università degli Studi di Brescia

 In un nostro precedente contributo (cfr. Come le nuove tecnologie digitali rivoluzioneranno il modo di fare business – Settembre 2014), avevamo teorizzato come un set di nuove tecnologie digitali potesse (almeno potenzialmente) trasformare i prodotti, i processi e i modelli di business delle aziende manifatturiere. Una considerazione, sino a quel momento, supportata da una serie di articoli e report, in cui centri di ricerca / di consulenza su scala globale, riportavano sia casi di successo di imprese che stavano applicando tali tecnologie, sia la visione di scenari futuri in cui queste avrebbero potuto essere impiegate. Tutti questi articoli, a diverso modo, richiamano i concetti di Quarta Rivoluzione Industriale e Industry 4.0, ovvero: come le nuove tecnologie digitali possano modificare in modo disruptive prodotti, processi e modelli di business.

Queste ricerche, hanno avuto il pregio di tracciare un quadro chiaro delle potenzialità teoriche delle tecnologie digitali. Grazie a una loro attenta lettura e classificazione, è stato possibile individuare le tecnologie più promettenti tra le decine citate e trattate, considerando non solo le tecnologie più ‘popolari’ oggi, bensì cercando di prevederne lo sviluppo negli anni a venire. Da questa cernita, sono emerse 7 ‘aree tecnologiche’ che, secondo noi, possono guidare in primis questa rivoluzione: Stampa 3D, Internet delle Cose, Realtà Aumentata, Realtà Virtuale, Robotica e Intelligenza Artificiale, Nanotecnologie e Social Manufacturing.

Figura 1 - Le tecnologie digitali selezionate
Figura 1 – Le tecnologie digitali selezionate

Partendo dal famoso report del The Economist “The Third Industrial Revolution” del settembre 2012, si sono susseguite numerose altre ricerche di grande impatto mediatico. Ne citiamo alcune che possono essere utili a creare una base di conoscenza del fenomeno in corso: Digitizing the value chain for high performance, Accenture (Aprile 2013) – The next big thing, Scientific American (Maggio 2013) – The Short History of the Future of Manufacturing, The Economist (Maggio 2013) -Disruptive technologies: advances that will transform life, business, and the global economy, McKinsey Global Institute (Maggio 2013) – Hype Cycle for Emerging Technologies, Gartner (Luglio 2013/2014) -Top 10 Emerging Technologies of 2015, Scientific American (Marzo 2015) -Industry 4.0. The future of productivity and growth in manufacturing industries, BCG (Aprile 2015).

A un occhio allenato, da tali contributi traspaiono una serie di limiti non irrilevanti; in primis, molto spesso le analisi proposte risultano poco approfondite, limitandosi ad analizzare l’oggi piuttosto che volgere lo sguardo al domani. In secondo luogo, il punto di partenza di tali contributi sono quasi sempre pochi illustri casi eccellenti che, al di là dell’indubbio impatto scenografico, non possono certo costituire una statistica e nemmeno fungere da riferimento per la media industria Italiana. In sintesi, tali studi si sono focalizzati (spesso) verticalmente su una/poche tecnologia/e, non indagando le (possibili) sinergie tra di esse e inoltre si tratta (quasi sempre) di contributi esplorativi che enunciano teorie e costrutti, senza però dimostrarli a fondo attraverso analisi su basi dati statisticamente significative.

Metodologia adottata & Obiettivi

Viste le lacune della letteratura tecnico-divulgativa, appare opportuno studiare con maggiore profondità i cambiamenti in corso, per darne una descrizione omnicomprensiva capace di non perdere le potenziali sinergie, lavorando su di una base dati robusta costruita coinvolgendo un numero significativo di aziende manifatturiere. Per queste ragioni, da maggio 2013 sino a maggio 2015, il Laboratorio Research & Innovation for Smart Enterprises (RISE) dell’Università di Brescia, ha progettato ed erogato una survey nazionale con l’intento di supportare la creazione di conoscenza su questa specifica tematica. La principale domanda a cui la ricerca ha voluto dare risposta è la seguente: è davvero in corso la rivoluzione digitale anche in ambito manifatturiero? Domanda quasi paradossale, a cui però di fatto non è stata (ancora) trovata una risposta certa, come peraltro sosteneva Paul Markillie che, nel report di The Economist a fine 2012, affermava: “as manufacturing goes digital, it will change out of all recognition”.

Nella ricerca, i dati che derivano da osservazioni della realtà, vengono utilizzati per validare (o smentire) teorie / modelli precedentemente formulati. In particolare sono 4 le fasi di lavoro: (i) Survey utilizzatori, (ii) Interviste a provider, (iii) Interviste a esperti e infine (iv) Casi di studio. Coerentemente con la recente chiusura della fase (i), nel proseguo dell’articolo ogni qualvolta si parlerà di ‘ricerca’, si farà riferimento solo a questa prima fase di lavoro.

La survey si focalizza sul comparto manifatturiero italiano, con l’intento di rilevare il livello di utilizzo di tecnologie digitali potenzialmente in grado di produrre trasformazioni di grande portata nei processi aziendali. Prendendo spunto dalle ricerche / pubblicazioni disponibili e dagli esempi che le medesime descrivono, è evidente come i settori potenzialmente impattati dalle nuove tecnologie digitali, siano davvero ampi e non identificabili a priori. Per questo motivo la ricerca si rivolge a tutti i settori (partendo dall’industria alimentare, passando per la metallurgica, il machinery, sino all’automotive), senza vincoli dimensionali. Questa scelta è stata fatta con cognizione di causa, in virtù della volontà di indagare se (e come) tali tecnologie possano essere un elemento abilitante a una rivoluzione trasversale e democratica, accessibile a imprese di qualsiasi settore & dimensione.

Più nello specifico, l’indagine ha avuto l’obiettivo di rispondere a 5 research questions, che dovrebbero colmare i limiti dei precedenti lavori e, soprattutto, quantificare lo stato dell’arte a livello Italiano della conoscenza e dell’adozione delle tecnologie digitali.

Figura 2 - Le 5 research questions
Figura 2 – Le 5 research questions

 I risultati

Il campione definitivo della ricerca è costituito da 70 aziende manifatturiere, che rispettano il criterio fondamentale relativo alla presenza di attività produttive in Italia.

Una prima segmentazione può essere realizzata in funzione delle dimensioni aziendali. Al riguardo, il campione appare sufficientemente eterogeneo, come evidenziato in Figura 3.

 

Figura 3 - Segmentazione del campione per dimensione aziendale
Figura 3 – Segmentazione del campione per dimensione aziendale

Nel seguito riportiamo sinteticamente le risposte alle domande di cui sopra.

RQ1. Quali conoscenze hanno le aziende di queste tecnologie?

Figura 4 - Livello di conoscenza di ciascuna tecnologia

Figura 4 – Livello di conoscenza di ciascuna tecnologia

La Figura 4 evidenzia uno scenario non particolarmente positivo. Nello specifico, emerge che una quota parte rilevante delle aziende manifatturiere non ha a oggi una conoscenza (colonna grigia) delle tecnologie indagate. Solo la Stampa 3D risulta nota a più della metà del campione (61%), peraltro con una buona percentuale (27%) di aziende dotate di conoscenza approfondita.  Le altre tecnologie non superano la soglia del 50% del campione. Anche l’Internet delle Cose, posizionato da Gartner in corrispondenza del picco di inflazione mediatica, risulta non avere ancora fatto presa nel mondo manifatturiero: solo il 44% delle aziende ha approfondito (parzialmente) le sue applicazioni, ma solamente il 5% ne ha una conoscenza approfondita. Considerando che il paradigma IoT si basa (anche) sull’utilizzo intelligente di soluzioni non necessariamente recenti (come per esempio l’uso della tecnologia RFID), una incidenza percentuale così ridotta è piuttosto significativa della limitata rilevanza attribuita al tema da parte del campione intervistato. Per le altre tecnologie il livello di conoscenza è ancora più basso, con picchi di ‘non conoscenza’ che vanno dal 65% della Realtà Aumentata (terza tecnologia per livello di conoscenza), fino a oltre l’80% per le Nanotecnologie.

RQ2. Quante aziende si stanno muovendo, e come?

Figura 5 - Livello di utilizzo delle tecnologie
Figura 5 – Livello di utilizzo delle tecnologie

Coerentemente con il quadro offerto dalle risposte alla RQ1, la Figura 5 evidenzia come la maggior parte delle aziende del campione non utilizzi queste tecnologie, e non sembri nemmeno intenzionata / pronta a farlo nel breve periodo. Nuovamente, una tecnologia emerge rispetto alle altre: circa il 21% delle aziende del campione sta già concretamente impiegando la Stampa 3D, mentre il 29% sta portando avanti un’analisi preliminare volta a verificarne le fattibilità. In accordo con la soglia stabilita Gartner (20% di applicazioni), possiamo dire che la Stampa 3D è l’unica tecnologia già a oggi mainstream tra quelle analizzate.

La Stampa 3D è seguita dall’Internet delle Cose, con un 15% di aziende che a oggi applicano la tecnologia. In aggiunta, un ulteriore 15% di aziende ha pianificato di investire in questo nuovo paradigma, visto che sta svolgendo analisi di fattibilità tecnico/economica. Prendendo in considerazione altre ricerche, è possibile all’incirca confermare questi numeri: nonostante la forte esposizione mediatica, l’Internet delle Cose, anche a livello mondiale, non raggiunge (ancora) livelli di utilizzo significativi. I sistemi di Social Manufacturing e di Robotica Avanzata raggiungono la soglia dell’11% del campione, mentre le restanti tecnologie non superano il 4%, a testimonianza di una sostanziale non-applicazione. Tra le tecnologie oggi meno impiegate, solo la Realtà Aumentata si segnala con un 11% di studi preliminari in corso, che presumibilmente si trasformeranno in applicazioni concrete nei prossimi mesi / anni. Segnale del fatto che oggi la tecnologia non è ancora completamente matura per delle applicazioni industriali, ma c’è del concreto interesse, che presumibilmente ne stimolerà / accelererà lo sviluppo.

Per poter rispondere sino in fondo alla RQ2, si è deciso di indagare quali fossero le aree aziendali coinvolte e impattate nel/dal processo di valutazione e implementazione di queste tecnologie.

 Figura 6 - Coinvolgimento delle diverse aree aziendali
Figura 6 – Coinvolgimento delle diverse aree aziendali

Dalla Figura 6 emergono alcuni messaggi evidenti:

  • Ricerca & Sviluppo, Produzione e Marketing sono le aree funzionali che compongono la spina dorsale dei processi di realizzazione e vendita dei prodotti: non a caso risultano essere quelle maggiormente coinvolte
  • La funzione dei Sistemi Informativi è quella di abilitare l’utilizzo di queste nuove tecnologie. L’IT ha (o dovrebbe avere) il compito di far dialogare i nuovi sistemi tecnologici con l’infrastruttura informativa preesistente in azienda, eventualmente adattandola
  • Alcune aree di supporto, come l’Amministrazione, gli Acquisti e le Risorse umane sono poco coinvolte
  • Le aree di Logistica e Service appaiono meno coinvolte di quanto ci si potrebbe aspettare

RQ3. Che benefici stanno ottenendo?

Il messaggio forte e chiaro che emerge è che, grazie a queste tecnologie le aziende ritengono di poter migliorare la qualità dei prodotti, il livello di servizio offerto ai clienti e la reattività nei confronti del mercato. Meno significativi risultano essere i benefici legati a una riduzione dei costi. Inoltre, le aziende che già oggi implementano tali tecnologie, dichiarano di aver raggiunto risultati superiori alle aspettative.

Per poter arrivare a queste conclusioni, per ognuna delle tecnologie indagate è stata proposta alle aziende intervistate una lista di benefici ottenibili, con l’obiettivo di valutare nel dettaglio i vantaggi operativi peculiari di ciascuna. Per fornire una visione più aggregata, tali benefici possono essere ricondotti a 5 macro-categorie: Qualità & servizio (sviluppare prodotti con funzionalità incrementate oppure offrire una personalizzazione molto spinta del prodotto), Reattività (intervenire sul processo di sviluppo e realizzazione dei prodotti, riducendone il tempo di esecuzione), Efficienza (contenere i costi), Controllo & affidabilità (conoscere sempre come stanno procedendo le proprie attività produttive e i prodotti venduti al cliente),  e infine Flessibilità (garantire la convenienza economica della produzione anche in piccoli lotti).

Per ogni tecnologia è stato possibile selezionare i benefici più significativi dichiarati dalle imprese e classificarli all’interno delle 5 categorie sopra descritte, al fine di identificare quali fossero quelli prioritariamente perseguiti (Figura 7).

Figura 7 - I benefici attesi dichiarati dalle imprese (focus su Stampa 3D)
Figura 7 – I benefici attesi dichiarati dalle imprese (focus su Stampa 3D)

I benefici attesi, per quasi tutte le tecnologie, raggiungono punteggi molto elevati con riferimento alle aree di qualità/servizio e reattività, che racchiudono al loro interno la possibilità di migliorare le funzionalità dei propri prodotti / processi / servizi, aumentando la rapidità di reazione nei confronti del mercato. Nello specifico, vengono dichiarati molto significativi tutti quei benefici legati alla possibilità di ridurre e comprimere i tempi di progettazione e di prototipazione. Altresì evidente appare la ricerca di una maggiore integrazione e collaborazione tra gli attori della filiera e i clienti finali, sempre più rilevanti all’interno del processo di creazione dei nuovi prodotti.

Questi benefici appaiono coerenti con le necessità imposte alle aziende dal nuovo scenario competitivo, che richiede una maggiore rapidità nel rispondere alle esigenze dei clienti, orientati a ricevere prodotti/soluzioni sempre più personalizzati e di qualità elevata.

Meno rilevanti, invece, per le imprese i benefici legati alla riduzione dei costi e a una maggiore produttività, a dimostrazione della transizione in essere tra il paradigma della produzione di massa verso quello della personalizzazione di massa.

Rivolgendo la stessa domanda alle sole imprese che hanno effettivamente implementato le tecnologie, è possibile rilevare la presenza di un gap tra i benefici attesi e quelli effettivamente ottenuti. Con specifico riferimento alle tecnologie più utilizzate, laddove cioè esiste una significatività statistica del dato, emerge che i benefici raggiunti risultano mediamente superiori a quelli attesi (Figura 8).

Figura 8 - Benefici attesi vs. raggiunti
Figura 8 – Benefici attesi vs. raggiunti

RQ4. Quali ostacoli stanno incontrando?

A cosa si deve il numero molto limitato di aziende che stanno utilizzando le tecnologie digitali (cfr. RQ2), anche a fronte di benefici potenzialmente interessanti (cfr. RQ3)? Le aziende coinvolte nell’indagine segnalano come elemento maggiormente ostativo alla diffusione delle tecnologie, la difficoltà nel reperire risorse competenti su questi temi. Più nel dettaglio, le aziende che stanno già implementando queste tecnologie al proprio interno (colonna grigia) manifestano una criticità ancora più intensa, a dimostrazione di un ostacolo nel concreto ancora più significativo rispetto alle attese. Acquisire / formare competenze adeguate è cioè un reale problema per le imprese, che faticano a disporre di risorse abili a guidare il cambiamento generato dall’impiego delle tecnologie digitali.

Figura 9 - Ostacoli alla diffusione delle tecnologie digitali
Figura 9 – Ostacoli alla diffusione delle tecnologie digitali

Ostacolo meno significativo, seppure non trascurabile, risulta essere l’onerosità degli investimenti in attrezzature e strumenti. Al riguardo, è però importante notare il fatto che le aziende che hanno già sostenuto queste spese (quindi abbiano svolto/in corso progetti) considerino questo fattore meno ostativo rispetto alle attese, a dimostrazione del fatto che spesso la ‘paura dell’investimento’ sia più un pre-giudizio che altro. In definitiva, l’investimento, se calibrato sulle base delle reali esigenze, non è considerato un ostacolo rilevante.

Ancora meno rilevante pare essere l’ostacolo legato allo stato di maturazione e sviluppo delle tecnologie. A fronte di una conoscenza non adeguatamente approfondita delle tecnologie, spesso le aziende non ritengono di doversi muovere, conoscendo solo pochi casi industriali di successo. Tipico atteggiamento da follower, cioè di colui che agisce solo dopo aver toccato con mano i risultati raggiunti da altri.

Infine, la disponibilità di provider tecnologici specializzati nella realizzazione e commercializzazione di queste nuove soluzioni digitali, non sembra essere percepito come un elemento particolarmente ostativo. Va però sottolineato come la composizione dell’offerta delle tecnologie digitali sia (con le opportune differenze nelle diverse aree, anche in relazione al grado di maturità) sostanzialmente differente da quella legata alle tecnologie tradizionali. Nello specifico, l’offerta di soluzioni tecnologiche digitali è al momento più frammentata, visto che accanto a pochi grandi player globali, esiste un sottobosco estremamente ampio composto da start-up o comunque aziende di ridotte dimensioni, molto spesso attive in nicchie di mercato.

RQ5. È davvero una rivoluzione democratica e trasversale?

Per rispondere a questa domanda è stato definito un indicatore sintetico in grado di quantificare la propensione innovativa delle aziende, il Digital Innovation Index (DII). Tale indicatore viene misurato per ogni singola azienda e tecnologia, considerando due differenti grandezze: da un lato la ‘conoscenza mirata’ (incrocio tra conoscenza e rilevanza) che l’impresa ha della tecnologia in esame, e dell’altro, lo stadio implementativo raggiunto.

Tramite il supporto di questo indicatore è possibile operare delle considerazioni in merito alla democraticità della rivoluzione, ovvero alla possibilità che tutte le aziende, indipendentemente dalle dimensioni, possano parteciparvi. Tale assunzione deriva dal fatto che le nuove tecnologie digitali sono (più) facilmente accessibili (rispetto al passato) anche per le piccole imprese, in quanto le soluzioni offerte sono scalabili e parametrizzabili in funzione delle specifiche esigenze (la segmentazione della gamma proposta dai provider di stampanti 3D ne è un esempio eclatante).

La distribuzione dei valori di DII per tecnologia permette di ricavare un primo elemento a supporto della tesi di rivoluzione democratica (Figura 10).

Figura 10 - Digital Innovation Index per tecnologia
Figura 10 – Digital Innovation Index per tecnologia

L’indice così calcolato assume una significativa variabilità in funzione della tecnologia. Andando ad analizzare, tecnologia per tecnologia, le sole aziende con un DII superiore alla media, ci si rende conto che in 4 casi su 7, sono proprio le PMI a prevalere, a (parziale) dimostrazione del fatto che le dimensioni non costituiscono un ostacolo rilevante all’utilizzo delle tecnologie digitali.

Per andare ancora più a fondo di questa affermazione, si è ricavato un ulteriore indicatore sintetico, evoluzione del Digital Innovation Index. Questo ulteriore indice, chiamato Overall Digital Innovation Index (ODII), accorpa in un solo valore numerico la propensione innovativa globale di un’azienda, in relazione alla sua posizione nei confronti della totalità delle tecnologie indagate.

Figura 11 - Analisi per dimensione aziendale del ODII
Figura 11 – Analisi per dimensione aziendale del ODII

In Figura 11 vengono riportati i valori massimo, medio e minimo assunti dall’ODII per le tre classi di dimensioni aziendali utilizzate per segmentare il campione. In particolare, si può notare che il valore medio tende si a crescere con le dimensioni aziendali (da 1,65 per SME, fino a 1,96 per Very Large), ma con una tendenza non troppo marcata, all’incirca del 15%.

Mettendo assieme le diverse analisi, si può quindi affermare che le piccole e medie imprese non sono escluse a priori dal processo di rivoluzione in corso. Sebbene le aziende di grandi dimensioni possano disporre di maggiori risorse da dedicare all’analisi e implementazione di queste tecnologie, spesso rimangono prigioniere di processi decisionali lunghi e farraginosi; al contrario le SME, pur disponendo di meno risorse, possono godere di maggiore flessibilità e reattività.

Il fatto che anche le PMI possano accedere a questa rivoluzione è fondamentale per un Paese come l’Italia, in cui il 95% delle aziende ha meno di 50 addetti e un fatturato inferiore ai 10 milioni di euro. Peraltro, a onore del vero, la capacità di innovare (i prodotti, in particolare) è sempre stata una peculiarità delle nostre imprese, anche di quelle di piccole e medie dimensioni. Ad affermarlo è (anche) lo studio ‘Pmi e la sfida della qualità’, curato da Fondazione Symbola e CNA[1], secondo cui l’Italia è il secondo Paese in Europa per numero di aziende (65.481) che negli ultimi tre anni hanno introdotto innovazioni (di processo o di prodotto). Di queste, più dell’80% ha meno di 50 dipendenti, e contribuisce per oltre il 22% al valore aggiunto complessivo prodotto dalle SME europee

In sintesi, il fatto che le nuove tecnologie digitali possano supportare le imprese (anche medio-piccole) in questo percorso di crescita e di innovazione, è certamente un segnale positivo per il futuro del Paese.

 



[1] Pmi e la sfida della qualità – Fondazione Symbola & CNA – Aprile 2015

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FabbricaFuturo è il progetto di comunicazione rivolto a tutti gli attori del mercato manifatturiero (responsabili delle direzioni tecniche, imprenditori e direzione generale, responsabili organizzazione e HR) che ha l’obiettivo di mettere a confronto le idee, raccontare casi di eccellenza e proporre soluzioni concrete per l’azienda manifatturiera di domani.

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