Gli indicatori di sviluppo in Emilia-Romagna non hanno mai seguito, negli ultimi due secoli circa, quelli del resto del Paese, dimostrando doti e caratteristiche d’indiscutibile interesse e unicità. I dati di crescita degli utili, dei fatturati e del numero di occupati ci stupiscono perché sono in crescita a due cifre e si distaccano da quasi tutte le economie regionali italiane facendo assomigliare questo territorio alle economie emergenti del Nord Europa.
Anche i primi anni di rivoluzione digitale e di reindustrializzazione manifatturiera mostrano immediatamente la differenza con le altre Regioni e permettono di approfondire l’analisi di questo territorio alla ricerca di modelli di sviluppo comprensibili ed esportabili.
Il modello emiliano è passato da “best practice” a “next practice”: essere “next practice”, in effetti, ha significato per l’Emilia-Romagna guardare al futuro senza dimenticare o trascurare quella dimensione di concretezza tipica dell’industria manifatturiera che rimane il suo cuore pulsante.
Le identità del territorio hanno scelto di non correre da sole, ma di agire a livello di sistema per stimolare, incubare e poi accelerare i processi di innovazione e cambiamento dando loro un sapore ‘glocale’. L’approfondito livello di conoscenza sistemica e l’alta capacità di apprendimento ci convincono fermamente a classificare il modello emiliano all’interno delle cosiddette “Learning organization” che secondo il suo principale teorico, Peter Senge, sono quelle in cui le persone, a tutti i livelli, “aumentano di continuo la capacità di produrre risultati, per i quali hanno un reale interesse”.
Quella emiliana è una “next practice apprenditiva” dunque, del cui essere parte gli attori sono ancora parzialmente inconsapevoli. Ed è proprio in questa parziale inconsapevolezza – caratterizzata da un atteggiamento instancabile verso il miglioramento continuo – che risiede a nostro avviso uno dei fattori critici di successo del modello.
A dicembre 2017 il Financial Times ha definito l’Emilia-Romagna “engine of recovery”, motore di (ri)partenza per l’Italia dopo anni in salita, grazie al suo essere eccellenza mondiale nel settore manifatturiero. L’Emilia-Romagna è riuscita a risalire la china della crisi ai suoi picchi massimi nel 2012 trainata dalle esportazioni e dalla conseguente capacità di imparare dai propri clienti in logica di partnership incamerando nuove competenze e opportunità, ma anche superando questo modello marketing oriented fino ad andare a imparare dal ‘cliente del cliente’, inteso come ultimo anello della catena del valore.
L’Emilia-Romagna, inoltre, nel 2016 ha toccato una percentuale di sviluppo del Prodotto interno lordo (Pil) doppia rispetto alla media italiana e ancora oggi vuole continuare a essere incubatore di tecnologie cross-settoriali, fuori da qualsiasi logica silo-centrica di strumenti e competenze.
Nel modello di next practice apprenditiva, tuttavia, risulta evidente come gli indicatori economico-finanziari non possano, da soli, spiegare appieno il fenomeno, seppure questi godano di ottima salute. Alla performance vanno dunque certamente associati altri due aspetti imprescindibili per costruire, alimentare e mantenere il successo: innovazione e sostenibilità, dove quest’ultima è da intendersi come adattamento continuo di processi, competenze e comportamenti per la generazione continua di valore all’interno delle organizzazioni.
L’analisi congiunta di performance, innovazione e sostenibilità ci conduce ad apprezzare come l’Emilia-Romagna sia riuscita ad affrontare un’ottimizzazione prima operativa, poi organizzativa e poi ancora di sistema verso un modello di innovazione orientato alla sostenibilità.
Tale ottimizzazione è stata il frutto di un modo di essere – e fare – che progressivamente ha abbandonato il concetto di semplice ‘connessione’ per fare proprio quello più integrato di ‘collaborazione’ in cui lo scambio smette di essere solo ‘transazione’ per farsi ‘relazione’. In questa logica, per citare gli ultimi studi sull’evoluzione dell’uomo in era post-digitale, gli individui si fanno “infovidui” e diventano quello che sanno, essendo portatori di informazioni, comportamenti e competenze destinati a essere messi a sistema e a costituirne parte integrante.
L’articolo completo è stato pubblicato nel numero di Maggio/Giugno 2018 di Sistemi&Impresa.
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