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Innovare (ri)pensando alle persone

Oggigiorno osserviamo un’enfasi sempre maggiore sul ruolo dell’innovazione e delle nuove tecnologie per lo sviluppo economico e sociale. Tuttavia, il peso delle conoscenze umanistiche in tali processi non è adeguatamente considerato. Vogliamo, quindi, evidenziare come la cultura umanistica possa essere al centro dei percorsi di sviluppo – e nelle decisioni di business più in generale – in parallelo a quella scientifica e come le due visioni siano complementari e si rafforzino assieme in un unico indissolubile metodo. Si riportano alcuni casi eclatanti dove la presenza dell’approccio umanistico alla risoluzione di importanti problemi di business nei settori del marketing, degli investimenti e dello sviluppo prodotti sia stata rilevante e determinante. La loro trattazione ha l’obiettivo di mostrare come le aziende possano adottare un metodo che guardi a queste competenze per favorire l’innovazione.

L’innovazione come processo umano e tecnologico

L’innovazione è in realtà un processo tanto umano quanto tecnologico. La ricerca delle forze che ne determinano il successo è di per sé un viaggio, inevitabilmente maieutico, volendo disturbare Socrate, poiché il focus è sull’aiutare l’interlocutore a sviluppare da solo la soluzione ricercata. Infatti, innovare con successo vuol dire migliorare il modo in cui un soggetto (per esempio un cliente, un cittadino, un medico, un manager, un impiegato, ecc.) riesce a soddisfare in modo più efficace, efficiente e completo necessità note ed esplicite, oppure implicite e ancora non conosciute.

Sappiamo che l’innovazione è vincente se sarà adottata dai soggetti a cui si rivolge. Difatti, ciò che la rende tale è il suo conseguente successo e la diffusione commerciale. Lance A. Bettencourt e Anthony W. Ulwick, due studiosi e consulenti d’azienda in Marketing e Innovazione, hanno mostrato come per innovare sia fondamentale scomporre in processi i compiti a cui assolve un prodotto o un servizio, per poter capire come e dove potenziarlo più o meno profondamente o addirittura rivoluzionarlo. L’approccio di scomposizione del processo di utilizzo di un prodotto o servizio da parte del suo consumatore finale è estremamente scientifico e strutturato, ma non è così immediato e utile comprendere sempre quale necessità soddisfino entrambi.

Può essere facile e chiaro capire che una lavatrice può lavare un capo di abbigliamento e sperabilmente possa eliminare tutte le macchie, ma è altrettanto vero che analizzando tutti i compiti che si concatenano per realizzare questo processo essi vanno ben oltre ciò che è stato menzionato. Infatti, gli abiti vengono distinti per colore e tessuto, si sceglie il programma, si stendono, si stirano e si piegano. Ognuna di queste azioni co-partecipa a predisporre l’indumento affinché sia pulito e nuovamente indossabile, eppure è noto che spesso la ‘macchia’ non lavata e ostinata è identificata solo a valle di tutti i processi sopra citati, costringendo quindi a rilavare il capo o trattarlo diversamente. Sembrerebbe, quindi, che l’innovazione più rilevante possa essere una lavatrice in grado di analizzare le macchie sugli indumenti e calibrare detergenti e programmi ad hoc, riducendo sensibilmente le necessità di riprocessare l’abito, con aggravio di tempi e costi.

Altre volte, pur mappando pedissequamente il processo con cui un prodotto o un servizio viene utilizzato, non è facile capire dove e come innovare, così come comprendere il vero compito che assolve o potrebbe assolvere, a meno che non si chiamino in aiuto competenze che sono decisamente parte di una sfera meno logica e tecnologica. Queste sono, invece, molto più attinenti alle emozioni, alla creatività, all’arte, alla storia, all’intuito, alla filosofia, alla psicologia o altro ancora, ma in ogni caso afferenti al modo in cui noi come persone ci comportiamo: cioè all’area umanistica. Basandoci su quanto detto sopra, come si può creare in azienda e nelle organizzazioni un approccio orientato all’innovazione supportato anche da competenze umanistiche? Rimandiamo alla lettura dei tre casi riportati di seguito e alle conclusioni per cercare di dare una prima risposta a questa complessa domanda.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Aprile-Maggio 2022 di Sistemi&Impresa.
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