In Italia bisogna “favorire l’affermazione di una nuova cultura digitale e preparare nuove competenze e qualificazioni”. È l’orizzonte indicato dall’Osservatorio sulle competenze digitali presentato a giugno 2017 dall’Agenzia per l’Italia Digitale e dal Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca insieme con Aica, Assinform, Assintel e Assinter Italia, nel quale si descrivono i nuovi profili professionali e i percorsi per formarli, ma si evidenziano anche i gap dello scenario attuale e le domande che il nostro sistema formativo lascia ancora senza risposta.
In particolare, secondo i ricercatori, l’offerta aziendale di formazione o aggiornamento verso le competenze digitali è insoddisfacente in tutte le professioni e la diffusione della cultura digitale risulta molto eterogenea. Per quanto riguarda, in particolare, le professioni dell’ICT, le aziende non riescono a soddisfare il fabbisogno di laureati con competenze strategiche e in aree tecnologiche emergenti, a fronte di un eccesso di diplomati ICT.
L’Osservatorio propone quindi interventi di tipo orizzontale e verticale. Bisognerebbe infatti diffondere la cultura digitale e competenze digitali di base in tutto il sistema educativo, compresi i percorsi di studio universitario non ICT. Parallelamente, chiede di “aumentare la pipeline” di laureati e specialisti ICT, attivando diverse leve per “aumentare gli studenti nelle facoltà ICT, allineare percorsi di studio e interdisciplinarità, incoraggiare l’imprenditoria digitale, impostare una strategia per la mobilità delle professioni ICT”.
Per avvicinare domanda e offerta, si ipotizzano maggiori flussi informativi sul mercato delle professioni ICT, nuovi canali di selezione digitali e un “maggiore coinvolgimento delle aziende nei percorsi di formazione e più offerte di apprendistato, più incentivi per l’upskilling della forza lavoro ICT e più network collaborativi di filiera”.
Anche alla luce dei risultati dell’Osservatorio, abbiamo chiesto ad Antonio Samaritani, Direttore Generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale, che partita sta giocando l’Italia sulle competenze digitali, cosa perdiamo restando indietro e quali opportunità coglieremmo mettendoci al passo con i tempi.
Le competenze digitali sono un fattore strategico per la competitività di qualsiasi sistema socio-economico. L’Italia è rimasta ferma molto tempo, non riuscendo a sfruttare pienamente le potenzialità offerte dal digitale. Oggi dobbiamo recuperare il ritardo accumulato accettando la sfida del cambiamento e agendo su più fronti, non solo quello strettamente tecnologico, ma anche culturale e sociale per promuovere un reale cambiamento delle abitudini dei cittadini e delle imprese. Il contesto italiano presenta ancora elementi di criticità. Secondo il Digital Economy and Society Index 2017, solo il 69% della popolazione italiana usa Internet abitualmente. Tuttavia in questi ultimi anni si sono registrati i primi importanti progressi soprattutto per quanto attiene all’utilizzo di Internet da parte delle istituzioni come strumento di comunicazione con i cittadini.
L’E-gov survey pubblicato a fine 2016 – che fotografa il grado di sviluppo digitale dei 193 Governi aderenti all’ONU – inserisce l’Italia tra i Paesi con il più alto e veloce tasso di sviluppo di E-government. Oggi lavoriamo per fare in modo che la Pubblica amministrazione, nel creare soluzioni e piattaforme, opportunità di mercato e modernizzazione dei processi, possa diventare un volano per tutto il Paese.
Sul fronte delle imprese si registra ancora una tendenza alla polarizzazione: ci sono alcune aziende, soprattutto le grandi, reattive e capaci di intercettare le opportunità offerte dal digitale e altre, in particolare le piccole e medie, che troppo spesso restano ancorate alla dimensione analogica del proprio business, forse non percependo a fondo il cambiamento epocale. Secondo l’ultimo report dell’Osservatorio per le competenze digitali, nel triennio 2016- 18 la richiesta di professionisti ICT è cresciuta mediamente del 26% su base annua, con picchi del 90% per le nuove professioni legate alla trasformazione digitale. Ciò significa che si sta creando una domanda forte anche da parte delle imprese, ormai sempre più consapevoli del fatto che è soprattutto l’evoluzione digitale dei propri modelli organizzativi e di business a diventare necessaria per aumentare la competitività.
Sicuramente la rapida evoluzione del digitale porta con sé una veloce e altrettanto continua trasformazione delle competenze richieste dal mercato del lavoro. È chiaro che per governare al meglio questa dinamica occorre rafforzare la collaborazione e il dialogo tra scuola, università, imprese e associazioni. Stando alle ultime rilevazioni dell’Osservatorio, il mondo accademico sta ampliando la propria offerta formativa per creare figure professionali specializzate in Big data, Data Science e Cybersecurity che possano dunque rispondere alle nuove esigenze del mercato. Si fanno passi avanti, ma c’è bisogno di un’accelerazione.
Stiamo vivendo un periodo storico di grandi trasformazioni e discontinuità, non a caso si parla di quarta rivoluzione industriale. Dalle grandi trasformazioni emergono nuove istanze che impongono un cambiamento radicale dei modelli di relazione tra cittadini, amministrazioni e mercato. Per affrontare questa ‘sfida’ è nato il Piano Triennale per l’informatica pubblica, lo strumento di programmazione strategica ed economica che guiderà la trasformazione della Pa nei prossimi anni. Il piano definisce le linee operative di sviluppo della transizione digitale attraverso un modello chiaro che comprende anche la gestione degli investimenti pubblici in ICT. Abbiamo avviato un percorso che non avrà una fine ma continui sviluppi, all’interno di questa cornice in continuo aggiornamento si svilupperanno anche competenze e nuovi modelli organizzativi.
Per approfondire gli altri temi emersi durante l’intervista ad Antonio Samaritani, leggi il numero di Aprile 2018 di Sistemi&Impresa.
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