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La fabbrica digitale richiede competenze nuove

Dopo una fase emergenziale durata due anni, in cui si è imposta ancora più di prima la necessità di restare aggiornati a causa dei ritmi serrati della digitalizzazione, ora è arrivato il momento della ricerca di opportunità per applicare i punti di forza acquisiti. E per accelerare le prestazioni il management delle aziende deve concentrarsi su queste abilità e fornire opportunità per svilupparle. È quanto emerso dal questionario che abbiamo sottoposto ai lettori di Sistemi&Impresa, pensato per comprendere al meglio quali siano le competenze ricercate negli operatori del futuro e come trovare, formare e trattenere le persone con queste skill. Abbiamo poi raccolto le testimonianze di alcune delle oltre 100 aziende che hanno risposto all’iniziativa per commentare i risultati emersi.

Innanzitutto, la parola “competenza” per la maggior parte delle imprese intervistate significa non solo conoscere un argomento, ma anche farlo applicare, quindi trasmettere il know how alla propria squadra di lavoro. “Il futuro è nella teaching organization, non più nella learning organization: chi ha il dominio della competenza in un’azienda deve fare in modo che sia condivisa con altri, deve esplicitarla e diventare un maestro. L’obiettivo è che le competenze essenziali restino in azienda, anche se alcune persone nel tempo se ne vanno”, commenta Giancarlo Michellone, ex Presidente e Amministratore Delegato del Centro Ricerche Fiat che, fra l’altro, con un suo team di lavoro ha creato l’antiskid – antesignano del più conosciuto Antiblockiersystem (Abs) – e tra gli autori del libro Per un manifesto della Manifattura italiana (ESTE, 2021).

Il nostro sondaggio è stato realizzato anche con la sua collaborazione. Per Michellone le competenze si dividono in ‘distintive’ (cioè quelle valide dal breve al lungo termine), ‘attuali’ (che perdono la loro caratteristica di distintività nel medio-lungo termine) e ‘standard’ (reperibili all’esterno). Le prime sono da acquisire, mantenere e accrescere; le seconde sono da mantenere finché servono e poi da riconvertire o trasferire (per le aziende B2B, per esempio, la soluzione migliore è trasferirle a quei clienti per cui fanno ancora la differenza); le terze sono da riconvertire o terziarizzare. “Parlando di competitività nel futuro, considero solo quelle distintive, sia tecniche sia gestionali”, spiega l’ex manager della Fiat.

Le figure più ricercate nelle aziende interpellate dal questionario sono infatti dell’area tecnica e di progettazione, seguite dagli operatori specializzati. Per valutarle, anche in fase di recruiting, il 72% degli intervistati ha indicato come metro di giudizio il potenziale, mentre il 28% si concentra sulle prestazioni. Secondo Michellone non basta ammettere genericamente la bravura e la capacità di una persona, ma bisogna specificare in che cosa consiste e come si declina questa competenza nelle situazioni di lavoro in cui essa dovrebbe essere impiegata. Per esempio rispondendo a una serie di domande: “Conosce e sa gestire quella macchina? In quali situazioni di lavoro (connesse alla sua gestione) voglio valutarlo? In questa situazione come si comporta? Nel tempo è cambiato il suo atteggiamento?”.

La valutazione deve essere quindi integrata e soprattutto ripetuta nel tempo. A suo parere, quindi, le competenze distintive comuni più importanti derivano dalle capacità gestionali e dalle caratteristiche personali che permettono alle aziende di trovare le figure giuste, di formarle (perché diventino a loro volta formatori che condividono e trasferiscono il know how) e di trattenerle fino a quando è possibile. A proposito di trattenere le persone, le principali leve per diminuire il turnover su cui puntano le imprese che hanno risposto al sondaggio sono: engagement (72%); possibilità di avanzamento di carriera (58%); piano di welfare strutturato e salario competitivo (entrambe con il 45% delle preferenze); alta digitalizzazione dell’azienda (25%).

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Gennaio-Febbraio 2022 di Sistemi&Impresa.
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