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Manifattura, serve far crescere il cuore della nostra economia

| Chiara Lupi |

In Italia si registrano segnali di ripresa in tutti i comparti produttivi, mentre prosegue il rallentamento dell’inflazione. Gli indicatori registrano variazioni positive delineando un rafforzamento della fase di crescita economica. Cosa possiamo aspettarci? Ne parliamo con Gregorio De Felice, Responsabile Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo.

Gli indicatori registrano una crescita, cosa ci dicono i numeri?

Vediamo un quadro positivo, la ripresa si sta rinforzando, la crescita del Pil potrà arrivare a fine 2017 all’1,6% e l’elemento trainante è soprattutto il settore manifatturiero. Abbiamo una previsione di espansione del fatturato delle imprese industriali pari al 2,3% a prezzi costanti per il 2017. Una crescita quindi maggiore per il manifatturiero rispetto al Pil.

Da cosa dipende?

gregorio de felice
Gregorio De Felice

Sono rilevanti sia fenomeni di offerta sia di domanda. C’è una ripresa della domanda interna e dei consumi, dovuta alla crescita del reddito disponibile delle famiglie italiane che beneficia sia del miglioramento del numero di occupati sia delle politiche di sostegno ai lavoratori con reddito medio-basso. Sui consumi avevamo all’inizio del 2017 una previsione di rallentamento rispetto al 2016, allo 0,6-0,7%; oggi ci aspettiamo invece una crescita dell’1,3%. L’altra componente che spingerà la ripresa riguarda gli investimenti.

Ci spiega?

Nel primo trimestre del 2017 le imprese hanno studiato il Piano Industria 4.0 senza ancora investire. E di questo ne abbiamo evidenza certa grazie a un prodotto offerto dalla Banca che consente di anticipare alle imprese il vantaggio fiscale legato a Iper e Superammortamento. Abbiamo il polso della situazione erogando il 20% circa dei crediti al sistema produttivo.

Abbiamo monitorato la numerosità di domande legate a questi incentivi: sono partite lentamente, ma nel secondo trimestre sono cresciute molto e ora ce ne sono tantissime in fase di validazione. Circa il 90% verranno accolte perché rispettano tutti i requisiti previsti dalla legge. La mia attesa è che nel terzo e quarto trimestre la crescita sarà importante. Questo è cruciale perché dal 2007 al 2016 in Italia abbiamo avuto un calo degli investimenti pari al -26,3%. Nello stesso periodo la Germania ha registrato un incremento dell’8,8%.

Parliamo spesso di spread tra BTP e Bund, ma questo è uno spread drammatico…

Infatti: -26,3 contro +8,8, questo è il vero spread dell’economia italiana. La grande recessione che abbiamo subito ha spinto una gran parte del nostro sistema produttivo a non investire più e a contenere le spese variabili, con ricadute negative sul sistema.

Oggi abbiamo una obsolescenza degli impianti che Ucimu (l’Associazione di costruttori italiani di macchine utensili, ndr) quantifica in circa 13 anni e solo il 10% delle aziende ha macchinari che hanno meno di cinque anni. La stessa Ucimu prevede che con Industria 4.0 si verificherà una crescita degli ordini intorno al 20%. Da qui il cauto ottimismo sui prossimi trimestri.

L’altro fenomeno riguarda l’offerta: quale il suo commento?

Non possiamo dire che il sistema produttivo abbia avuto un’evoluzione darwiniana, ossia graduale nel tempo. Si è verificata una selezione drastica, forzata da una recessione pesante. Solo l’80% delle imprese che esistevano prima della grande crisi ha ancora uno spazio nel mercato. Questo vuol dire che chi è rimasto ne è uscito rafforzato rispetto a quel 20% di aziende che invece non ce l’ha fatta.

Quali gli effetti di questo fenomeno?

Consideriamo la redditività delle imprese. Se, per esempio, guardiamo il Return on Investment (ROI) siamo tornati all’8%, che era il livello del 2007. Ma mentre il dato del 2007 rifletteva la redditività di un numero più ampio di imprese, il dato più recente si riferisce a una base più ristretta di imprese: quelle migliori e che hanno resistito con successo alla crisi.

La ripresa economica è un fatto, tuttavia resta un gap di redditività tra le grandi e le medie imprese.

piano 4.0
Le aziende stanno ancora valutando le potenzialità del Piano Nazionale Industria 4.0 e non hanno ancora pianificato gli investimenti

Le nostre Piccole e medie imprese sono molto legate a un modello di crescita dove è centrale il ruolo della filiera produttiva.

Avendo avuto una legislazione che ha sempre svantaggiato la grande impresa (per esempio, partendo dall’articolo 18 che non si applicava alle imprese sotto i 15 dipendenti, ai vincoli al licenziamento, ecc.) molte aziende hanno guadagnato in flessibilità facendo outsourcing. Hanno scelto cosa fare in casa e cosa esternalizzare.

Ma nel momento in cui il sistema entra in crisi vengono tagliate le produzioni esternalizzate. E questo è sintomo di una debolezza di fondo che si ripercuote sulla piccola impresa, che sopravvive in quanto legata alle imprese più grandi.

Tendenzialmente i piccoli hanno meno capitale, vanno con più facilità in rotta di collisione con il sistema bancario…

Certo, e da questo dipende la fine di molte realtà produttive e la perdita di posti di lavoro. Abbiamo guadagnato dal 2015 900mila posti di lavoro, ma dal 2007, quanti ne abbiamo perduti? Almeno altrettanti, stiamo semplicemente recuperando in un sistema che permane dualistico, ossia con un mercato del lavoro dove chi è dentro non esce e chi è fuori fa molta fatica a entrare.

Un processo che però non è a costo zero.

Domanda, consumi e investimenti sono migliorati, anche il commercio internazionale ha dato una buona spinta. Dal lato della offerta questa selezione forzata ha premiato le imprese che hanno assunto scelte strategiche importanti, puntando sulla innovazione, sulla qualità dei prodotti e su una concezione evoluta dei processi di internazionalizzazione. Queste imprese hanno oggi una redditività di tutto rispetto. Purtroppo però il processo non è stato a costo zero, perché circa un quinto delle nostre aziende oggi non ci sono più.

Avremo un Pil con un segno positivo, prosegue il rallentamento dell’inflazione, possiamo considerare di aver passato la fase più critica?

Ci sono anche altri indicatori, per esempio i tassi di interesse che resteranno bassi ancora per un paio di anni visto che non prevediamo un rialzo da parte della Banca centrale europea (Bce) prima del 2019. In un arco di tempo ancora più lungo – diciamo da oggi al 2022 – il rialzo dei tassi è di un punto percentuale, cioè l’Euribor (tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in euro tra le principali banche europee, ndr) dall’attuale -0,30 passerà a un +0,70.

Le politiche monetarie non convenzionali, dopo aver portato i tassi in territorio negativo, prevedono importanti piani di acquisto di titoli di Stato e corporate sul mercato secondario. Ne deriva una grande redistribuzione che svantaggia la cosiddetta ‘rendita’ o il risparmio accumulato nel tempo, mentre rappresenta un grande vantaggio per chi è indebitato.

Nel caso italiano, in primis lo Stato che con questa politica risparmia circa 20 miliardi di euro di spese per interessi all’anno: non dimentichiamo però che questo è un vantaggio anche per il sistema produttivo, e dunque per le imprese, nonché per le famiglie che accendono un mutuo per l’acquisto di una casa.

variazioni PIL
Le variazioni del Prodotto interno lordo secondo l’ultima stima dell’Istat: a sinistra le variazioni tendenziali; a destra le variazioni congiunturali

Le imprese godono anche di pacchetti incentivanti messi a disposizione dalle ultime leggi di Stabilità: tra il 2016 e il 2018 sono previsti 23 miliardi di euro per investimenti in macchinari e software per l’industria 4.0. In che modo questi incentivi possono costituire una spinta?

Dopo l’incentivo di 80 euro (bonus Renzi corrisposto nel 2016 e 2017 a lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore a 26mila euro, ndr) per sostenere la ripresa si punta correttamente ora sul rafforzare la competitività del nostro sistema produttivo.

Ma non sono sufficienti gli incentivi sull’acquisto dei macchinari: è necessario sostenere adeguate politiche di formazione, perché i processi di digitalizzazione devono passare per una riqualificazione del capitale umano.

Sarà sufficiente?

Mancano le competenze, gli ingegneri, i tecnici… Ci dovrebbe essere un’azione sinergica con il Miur. Nel nostro Paese ci scontriamo con paradossi incredibili, abbiamo pochi ingegneri e il numero chiuso per entrare in quella facoltà. Siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa e ci permettiamo di inserire il numero chiuso in una facoltà cruciale per lo sviluppo del sistema industriale italiano.

Dovremmo avere un progetto, una visione del Paese che vogliamo essere. Vogliamo puntare tutto solo sul turismo? Non è possibile, benché il turismo sia una grandissima risorsa per l’Italia. La nostra capacità di fare impresa è forte, persino i tedeschi ce la invidiano… E lo sviluppo del capitale umano è fondamentale.

Ministero del Lavoro e Ministero dello Sviluppo Economico dovrebbero lavorare in maniera più sinergica, con un orizzonte comune?

L’economista Michael Porter invita a valutare i punti di forza di un’economia. Sulla base di quelli bisogna avere un progetto, una visione del ‘Sistema-Paese Italia’. Non possiamo abdicare alla nostra vocazione manifatturiera e quindi dobbiamo puntare a un settore che oggi consente un avanzo commerciale con l’estero di 80 miliardi di euro l’anno (al netto della bolletta energetica). A fronte di un manifatturiero potente le istituzioni devono essere in grado di disegnare un progetto coerente e sostenere i settori più forti: Meccanica, Pharma, alimentare… Ma bisogna partire dalla visione e sulla base di quella dare sostanza a politiche di crescita e sviluppo.

Cresce, se pur di poco, il livello di produttività, significa che le imprese stanno lavorando alla loro riorganizzazione e ristrutturazione, e questo dovrebbe consentire loro di uscire da una delle più pesanti crisi della storia italiana. L’industria, gli imprenditori stanno facendo la loro parte. Ma anche Governo, e Istituzioni devono fare la loro…

istituzioniSintetizzo quello che potrebbe essere, secondo me, un piano d’azione in tre punti. Innanzitutto, proseguire con il sistema di incentivazione lanciato dal Ministro Calenda, poi investire molto sul capitale umano e, infine, garantire una migliore qualità delle connessioni.

Se l’imprenditore affida il futuro della propria azienda nelle mani del digitale deve poter contare su un livello di connettività adeguata, deve anche essere certo di poter gestire il proprio business con tranquillità – e qui mi riferisco alla sicurezza – e con livelli di affidabilità della connessione elevata. Questi i co-requisiti fondamentali perché tutto il progetto si sostenga. Le premesse ci sono, i numeri sono confortanti e ora Governo e istituzioni devono fare ulteriori importanti passi.

Altro tema è il rapporto tra Università e Impresa, due mondi che si parlano troppo poco. Anche questo è un problema…

Se analizziamo dove origina l’innovazione in Italia, per la maggior parte dei casi nasce nell’impresa stessa oppure nel rapporto che questa ha con i propri clienti e fornitori. La percentuale di imprenditori della meccanica che, per esempio, attinge a ricerche del mondo universitario è meno del 15%. In Francia e Germania questa percentuale è molto più alta. Manca una programmazione, una regia e manca una specializzazione tra i centri di ricerca industriale.

Altro tema il rapporto tra banche e imprese. Una relazione non semplice, soprattutto per le imprese medio-piccole. Sta cambiando qualcosa? Cosa fate per aiutare le imprese italiane?

Tra le iniziative più efficaci il finanziamento alle filiere. Il primo caso è stato finanziare la filiera di Gucci. In sintesi, applichiamo ai fornitori della filiera le medesime condizioni applicate al capofiliera a patto che questi garantisca che tutti gli attori della filiera agiscano nel rispetto di alcuni requisiti, tra i quali la certificazione di qualità, il rispetto di standard di sicurezza, di conformità rispetto alle normative sul lavoro e così via. In sostanza il capofiliera non garantisce il credito, ma il rispetto delle norme da parte dei fornitori della filiera. A oggi, abbiamo avviato questo nuovo approccio su circa 400 filiere.

Tema cruciale resta per le aziende l’accesso al credito. Le aziende più grandi hanno strumenti per colloquiare anche con altri attori del mondo finanziario mentre le PMI sono meno capitalizzate e rischiano di essere penalizzate da rating bancari più severi. Si sta muovendo qualcosa in questo senso?

accesso al creditoPartiamo da una premessa: le banche hanno un modello di rating interno che deve essere approvato dall’autorità di vigilanza e la Bce ha approvato un nuovo modello di rating sviluppato all’interno di Intesa Sanpaolo.

Nell’erogare un credito non consideriamo solo la posizione contabile, ma anche altri fattori: il numero dei brevetti, i marchi, così come i fattori immateriali che sono sintomatici di dinamismo e rappresentano elementi che consentono di dare più credito (abilità e qualità del management, piani aziendali, ecc.). Il nostro modello ad aprile è stato approvato dalla Bce ed è attualmente operativo.

Siamo già in campagna elettorale, cosa si devono attendere le imprese?

Le imprese devono pretendere di avere un Governo attento ai problemi del mondo produttivo. Questo non vuol dire avere un governo filo-industriale. L’impresa è quella realtà che permette di creare occupazione e benessere. L’impresa è il futuro. Avere una visione di medio periodo è fondamentale e deve essere chiaro a tutti che l’impresa manifatturiera è il cuore della nostra economia.