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Verso un nuovo made in Italy con PMI flessibili e creative

L’economia italiana è in deciso rallentamento e rischia di entrare in una fase di stagnazione o addirittura di recessione. È una preoccupante battuta d’arresto, dopo una crescita del Pil pari all’1,6% nel 2017 e allo 0,8% nel 2018. Occorre quindi reagire subito, in modo da creare le basi per un significativo rimbalzo nel secondo semestre del 2019.

In mancanza di una chiara inversione di tendenza, ci sono forti rischi sugli utili delle imprese, sugli investimenti, sull’occupazione e, naturalmente, sulla finanza pubblica. La variabilità degli utili aziendali è data in gran parte dai ricavi, più che dai costi. Le dinamiche di ricavi e fatturato mostrano una correlazione elevata con il Pil, in quanto indicatore di domanda interna e proveniente dall’estero.

La redditività delle aziende è peraltro fortemente pro-ciclica: migliora più del Pil nelle fasi espansive e cala più del Pil nelle fasi recessive. Le imprese decidono se fare o meno investimenti sulla base delle prospettive di crescita future.

La minor crescita attesa della domanda interna ed estera può indurre una minore necessità di espandere gli impianti per far fronte all’aumento della domanda. Inoltre, a causa di un peggioramento delle condizioni finanziarie e dell’aumento dello spread sui titoli del debito sovrano, può diventare più difficile l’accesso ai mercati dei capitali: ciò riduce ulteriormente la possibilità di finanziare piani di investimento.

L’occupazione è una variabile ritardata del ciclo (si muove di solito con tre o quattro trimestri di ritardo rispetto al Pil). Un quadro di minor crescita e di minori investimenti finisce dunque per riflettersi, sia pure con un certo ritardo, sul mercato del lavoro. La maggiore diffusione di contratti temporanei rispetto al passato potrebbe ridurre il divario temporale tra le due variabili.

Gli indicatori di finanza pubblica peggiorano in presenza di un rallentamento del Pil sia perché diminuiscono le entrate dello Stato (legate a occupazione, fatturato e utili aziendali) sia perché aumenta la spesa pubblica, per effetto dei maggiori esborsi per programmi di assistenza sociale, sussidi di disoccupazione, cassa integrazione e altro. L’elevato livello dei rendimenti (e dello spread sui titoli di Stato) provoca anche un incremento della spesa per interessi: la minor crescita economica è considerata infatti una minaccia alla sostenibilità del debito.

In termini concreti, ogni 0,2% in meno di crescita del Pil determina tendenzialmente uno 0,1% in più di rapporto deficit-Pil. Il rallentamento della crescita contribuisce inoltre a far peggiorare il rapporto debito-Pil, per via sia dell’aumento del debito, causato dal maggior deficit, sia del calo del Pil nominale. L’obiettivo di riduzione del rapporto debito-Pil diventa quindi di difficile realizzazione, in assenza di importanti politiche di privatizzazione e, quindi, di riduzione del debito.

L’articolo completo è pubblicato sul numero di Marzo-Aprile 2019 di Sistemi&Impresa.
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