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Perché la Blockchain: alle origini della tecnologia

| Gabriele Perrone |

Quello della Blockchain è un tema di grande attualità. A interessarsene sono anche le aziende, che cercano di capirne le caratteristiche e l’utilità per il loro business. Per comprenderne l’essenza, però, bisogna tornare indietro di decenni, studiandone l’ideale filosofico-politico di base, al di là delle questioni tecniche.

Le radici di questa tecnologia si possono già trovare negli studi del matematico inglese Alan Turing e del sociologo americano Ted Nelson (autore del libro Computer Lib/Dream Machine), per arrivare fino ai giorni nostri con le attività dei programmatori Nick Szabo  e Vitalik Buterin (quest’ultimo fondatore della piattaforma Ethereum per la creazione peer-to-peer di contratti intelligenti). In particolare, i giovani programmatori di fine Anni 80 avevano capito che attraverso il computer, inizialmente costruito per liberare l’uomo, in futuro saremmo stati tutti controllati e spiati in qualsiasi attività.

Con questo presupposto, la crittografia è stata concepita come una ‘maschera’ per proteggersi dal ‘potere’, un’arma di difesa del cittadino, senza intermediazione dei poteri forti (come le banche nel caso dei Bitcoin, la prncipale criptovaluta). Attraverso la crittografia, dunque, si può costruire una zona protetta per la persona e inviolabile per il potere. Il concetto di Blockchain è partito da qui.

Oggi, nel mondo digitale, siamo passati da semplici cittadini a utenti, perché ci possiamo muovere solo all’interno dei limiti di questi strumenti. Un esempio è Facebook: all’interno del social network siamo cittadini se clicchiamo ‘like’, tutto è assoggettato a regole dettate da terzi, ma non ci accorgiamo più delle ‘catene’ che abbiamo mentre navighiamo al suo interno.

Nel 2008, dopo il crollo di Lehman Brothers e la crisi finanziaria, è arrivata la svolta con la pubblicazione online del protocollo Bitcoin da parte di Satoshi Nakamoto (pseudonimo dell’inventore della criptovaluta). La reale identità di questa persona non è mai stata scoperta per mantenere la fedeltà al principio di anonimato di chi fa parte di questo nuovo sistema.

La Blockchain è quindi nata come un necessario supporto allo scambio tra persone senza un controllo centrale. Solo attraverso a una chiave privata, le persone (che restano anonime) possono accedere al proprio ‘portafoglio’ virtuale.

Il funzionamento della transazione si chiama hashing: prendendo una sequenza di dati, in base a un algoritmo è possibile crittografarla in una striscia di dati unica, che descrive quella singola situazione-transazione. Questa è la ‘maschera’ che chiude i dati in una stringa mai uguale alle altre e protetta. Tale sistema è distribuito (computer e singoli nodi della Rete collegati fra loro, tutti i dati visibili solo a chi ne fa parte) ed è opposto al cloud, dove ci si affida all’autorevolezza di una grande azienda per la gestione dei dati. La validazione della transazione è invece detta mining.

Infine c’è una differenza sostanziale tra il classico database e la Blockchain. Se il database si può considerare come uno ‘scaffale’ dove si mettono e si tolgono dati-informazioni secondo le regole previste da esso, la Blockchain è l’opposto: è un archivio storico, nel quale ogni transazione è tracciata e incancellabile, consultabile da chiunque ne faccia parte, in una logica di partecipazione tra pari e in un meccanismo di fiducia e onestà.

Tra le diverse applicazioni della Blockchain all’interno delle aziende, c’è quella nell’ambito delle Risorse Umane. Ne ha parlato Nicola Attico in questo articolo e nel suo libro Blockchain. Guida all’ecosistema.

 

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