Il conflitto Russia-Ucraina porta a un calo di produttività e fiducia nelle imprese

Com’è noto, l’indice Purchasing managers index (PMI) è un indicatore del livello di fiducia delle imprese, costruito raccogliendo mensilmente – mediante interviste – il sentiment sul futuro delle loro attività da parte dei responsabili degli acquisti di un campione significativo di aziende, attraverso le loro valutazioni su variabili quali nuovi ordini, consegne dei fornitori, ecc.

Un punteggio superiore a 50 indica una fase di crescita del settore, mentre valori inferiori a questo numero segnalano aspettative di decrescita. Per il Manifatturiero, le più recenti rilevazioni (ottobre 2022) registrano, per l’area Euro, un valore di 46,6 (quindi un trend di decrescita), in sensibile calo rispetto al 48,4 di settembre 2022. Analogo (anche se migliore) l’andamento per gli Usa, dove si rileva a ottobre 2022 un primo segno in discesa, passando da 52 a 49,9.

Per molti versi un calo produttivo era prevedibile: nel 2021 la produzione manifatturiera mondiale era balzata a un valore complessivo di 16 trilioni di dollari, registrando la più elevata quota percentuale sul Prodotto interno lordo mondiale in quasi 20 anni. La causa è da individuarsi nel ‘rimbalzo’ della domanda globale, provocata sia dalla fine, quasi in tutti i Paesi, dei lockdown, sia dai cospicui interventi di sostegno all’economia varati in tutto il mondo. Tutto ciò nonostante i ben noti problemi di approvvigionamento di materie prime e componenti che hanno rallentato, in alcuni casi pesantemente, la ripresa. Una normalizzazione al termine del rimbalzo era, dunque, nelle aspettative di tutti. Meno prevedibile era, invece, l’impennata nei prezzi delle risorse energetiche provocata – o quanto meno accelerata – dal conflitto Russia-Ucraina che ha messo in grave difficoltà soprattutto, ma non solo, le industrie europee.

Le crisi fanno ridisegnare le Supply chain mondiali

Anche la Cina, principale produttore manifatturiero mondiale, ha dovuto registrare sensibili cali di aspettative: a causa della politica dello ‘zero covid’, dello sgonfiarsi della bolla immobiliare e anche della siccità estiva, che ha impattato sulla produzione idroelettrica, il suo indice PMI manifatturiero è sceso dal 51,7 di giugno 2022 al 48,1 di settembre 2022.

A peggiorare ulteriormente la situazione è intervenuta la crescente inflazione, che danneggia doppiamente le produzioni industriali: sia per la difficoltà a trasferire immediatamente sui clienti gli aumenti nei costi di approvvigionamento di materie prime e semilavorati sia per le pressoché inevitabili iniziative di stretta monetaria avviate dalle principali banche centrali (in primis la Federal reserve) con conseguenti strette creditizie. Al momento sembra che solo le industrie manifatturiere di India e del Sud Est asiatico stiano muovendosi in controtendenza: molte imprese occidentali (in particolare americane) stanno, infatti, spostando le loro Supply chain dalla Cina verso questi Paesi: durante i primi sette mesi del 2022 l’export dell’India verso gli Usa è cresciuto del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e quello di Vietnam, Indonesia e Bangladesh rispettivamente del 33%, 41% e 50%. Non meraviglia, quindi, che i loro indici PMI siano tutti significativamente oltre il 50%, sia pure, anch’essi, con un trend calante. L’incertezza del clima economico, ma anche geopolitico si riflette sull’indice di fiducia dei consumatori, che l’Ocse rileva in forte rallentamento: da qui un prevedibile calo della domanda aggregata.

Il Pnrr può avere effetti positivi sulla produttività

In tale preoccupante contesto la situazione del nostro Paese appare in linea con quella media europea. L’indice PMI per ottobre 2022 è di 46,5, in sensibile diminuzione rispetto a settembre (48,3), ma comunque allineato con i valori medi dell’area Euro (46,4). In particolare il confronto con il tradizionale benchmark della Germania, nostro principale competitor (45,7 a ottobre, 47,8 a settembre) ci vede in leggero (e relativo; stiamo comunque parlando di valori inferiori a 50) vantaggio.

A conferma di una situazione non particolarmente negativa ci sono i dati sulle esportazioni: a settembre 2022, l’export verso i Paesi extra Ue è tornato a crescere su base mensile, trainato dalle vendite di beni strumentali, beni di consumo non durevoli e quelli intermedi. Nella media del terzo trimestre dell’anno, la dinamica congiunturale è, quindi, positiva. Su base annua dai dati dell’Istat si evince che la crescita dell’export accelera ancora (+26,9%; era +22,1% ad agosto 2022), motivata per oltre un terzo dalle maggiori vendite di beni di consumo non durevoli (dati Istat).

In prospettiva è, inoltre, ragionevole aspettarsi un significativo fallout sul nostro sistema industriale dalla cantierizzazione dei notevoli investimenti straordinari finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che non potranno non avere benefiche ricadute su ampie aree del Manifatturiero. Naturalmente tali investimenti avranno, di per sé, impatti diretti prettamente congiunturali – legati appunto ai cantieri – ma una parte degli stessi, se ben implementati, potrà avere positive conseguenze di tipo strutturale: oltre al miglioramento sul sistema infrastrutturale (soprattutto al Sud), il potenziamento del sistema della ricerca (pubblica e privata), insieme con la facilitazione nella nascita di startup a elevato contenuto tecnologico (ambito, questo, che vede fortemente impegnato il nostro sistema universitario, in particolare i Politecnici di Milano, Torino e Bari) potrebbe portare effetti di significativo incremento sulla nostra produttività, fino a oggi vero tallone d’Achille del sistema industriale italiano. È auspicabile che il nuovo Governo sappia, e voglia, muoversi in tale direzione.

L’articolo è pubblicato sul numero di Ottobre 2022 di Sistemi&Impresa.
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