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La produzione industriale rallenta: flessione temporanea o crisi congiunturale?

Le rilevazioni dell’Istat sulla produzione industriale di luglio 2022 hanno registrato dati in qualche maniera preoccupanti. Se è vero, infatti, che questa è aumentata dello 0,4% rispetto a giugno 2022; rispetto a luglio 2021 c’è stato un calo del 1,4%, contenuto ma significativo (ricordiamo che il dato è valutato al netto dell’inflazione, che sta gonfiando i fatturati in quasi tutti i settori, ma ovviamente non le quantità fisiche di produzione).

Una lettura disaggregata dei dati settoriali, ampiamente distribuiti rispetto al valore medio, offre interessanti spunti di riflessione. Partendo dagli ambiti produttivi più danneggiati troviamo: Siderurgia (-24%), Fonderie (-19%), Fabbricazione di prodotti in metallo (-8,1%), Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (-6,8%), Beni intermedi (-4,4%), Prodotti chimici (-3,8%), Beni strumentali (-2,0%), Beni di consumo (+1,0%).

Letti di seguito, i dati sopra citati – non prendiamo in considerazione l’ambito energetico, che registra valori positivi, probabilmente legati alla sua particolarissima congiuntura – disegnano intere catene di fornitura del Manifatturiero: partendo da Siderurgia e Fonderia per passare alla Realizzazione di componentistica (prodotti in metallo e articoli in gomma e materie plastiche), Beni intermedi e prodotti chimici, Beni strumentali, per chiudere con i Beni di consumo, unico settore che registra una, timida, variazione positiva su base annua. Cosa possiamo dedurne? La ripresa, che indubbiamente c’è stata, sta decisamente rallentando: i produttori di beni finali continuano a lavorare, senza però reintegrare integralmente le loro scorte. Ciò comporta un calo della domanda di beni intermedi che si trasmette lungo tutte le relative filiere, fino alle materie prime fondamentali (Siderurgia e Fonderie), in termini che crescono a ogni passaggio.

I consumi resistono nel breve, ma c’è l’incognita per il futuro

Naturalmente questa propensione delle imprese, se confermata nei prossimi mesi, indicherebbe attese negative sulla futura dinamica della domanda. Ne troviamo parziale conferma nei dati Istat sulla fiducia delle imprese manifatturiere ad agosto 2022, che registra un calo da 106,4 a 104,3. Sempre in estate, l’indice del clima di fiducia dei consumatori è stato invece in crescita, da 94,8 a 98,3. C’è contraddizione tra questi due trend? Forse no. Se infatti l’indice composito del clima di fiducia di tutte le imprese diminuisce da 110,7 a 109,4 (meno quindi di ciò che avviene per il Manifatturiero), quello del commercio al dettaglio migliora decisamente (da 108,5 a 113,5).

Complessivamente appaiono, quindi, aspettative di tenuta dei consumi a breve termine, ma di maggior pessimismo sugli orizzonti temporali più lunghi. Anche qui le dinamiche congiunturali sembrano incrociarsi. Da un lato la pandemia da Covid, anche se non conclusa, sembra essere stata quasi completamente ‘istituzionalizzata’ per questo sterilizzata, nei comportamenti dei consumatori. Dall’altro l’inflazione risulta sempre più la vera variabile indipendente delle attuali dinamiche economiche. Ricordiamo che il fenomeno era nato come normale effetto del recupero della domanda (e quindi della produzione) dopo i lockdown. Come tale, era stato sostanzialmente sottovalutato dalle banche centrali (un po’ di inflazione è sempre stata considerata la benefica ‘febbre di crescita’ di un’economia in espansione: da qui l’obiettivo 2% della Banca centrale europea).

La dinamica dei prezzi delle risorse energetiche, già in aumento nel 2021 ed esplosa con la guerra in Ucraina, ha poi complicato enormemente la situazione. Se i mercati ‘liberi’ obbediscono sostanzialmente alle logiche di domanda e offerta (risultando quindi in qualche misura prevedibili e gestibili), le tattiche (e le strategie) geopolitiche possono portare a comportamenti apparentemente (o anche sostanzialmente?) irrazionali – come quando la Russia preferisce bruciare il proprio gas piuttosto che venderlo – e quindi modellizzabili forse con la teoria dei giochi, ma certamente non con le normali curve di domanda e offerta.

Il Manifatturiero punti su creatività e qualità

È una situazione che abbiamo già vissuto – in termini solo parzialmente simili – con gli choc petroliferi degli Anni 70, che ci hanno insegnato una grande lezione: l’inflazione può nascere da cause oggettive (come una drastica riduzione dell’offerta a domanda costante), ma dopo può – soprattutto se non contrastata efficacemente e rapidamente – essere incorporata nelle attese di produttori, e quindi dei consumatori, fino a sopravvivere, almeno in parte, alle cause originarie. Le stesse classiche terapie macroeconomiche (aumento dei tassi di interesse per raffreddare la domanda, anche a costo di effetti complessivamente recessivi) rischiano di essere scarsamente efficaci quando le cause prime dell’inflazione sono esterne ai singoli sistemi economici nazionali, come avvenne per il petrolio degli Anni 70, e ora registriamo per il gas; ma anche per altre risorse primarie, come per esempio le terre rare.

Certamente, il sistema produttivo internazionale sta reagendo a queste novità con varie strategie: differenziazione delle fonti di approvvigionamento, investimenti sulle energie rinnovabili, impulso alla ricerca tecnologica, in particolare su batterie elettriche, idrogeno e nucleare di quarta generazione. Ma anche attraverso i ripensamenti sulla globalizzazione dei mercati, in una logica di (parziale) autarchia che non potrà che ridurre i ‘vantaggi comparati’ dei liberi scambi internazionali. Ci aspettano quindi tempi molto turbolenti, come l’aumentata volatilità che i mercati finanziari ci preannunciano ogni giorno.

Il nostro Manifatturiero, però, ha nella creatività e nella qualità i suoi punti di forza, che possono sempre più spostarlo dai mercati puramente concorrenziali delle commodity a quelli – potenzialmente molto più redditizi e, soprattutto, difendibili – della concorrenza monopolistica: Sace, realtà specializzata nel sostegno alle imprese italiane (in particolare delle PMI), prevede che nel 2022 l’export italiano di beni crescerà del 10,3%, soprattutto grazie all’aumento dei prezzi piuttosto che a quello dei volumi, e il rafforzamento del dollaro rispetto all’euro potrebbe migliorare ulteriormente tale dato. È essenziale, a tal fine, che si continui a investire sulle innovazioni tecnologiche di processo e, ancor più, di prodotto. Dobbiamo lavorare perché, anche grazie alla collaborazione con il nostro ottimo sistema universitario, le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) siano impiegate per ottenere sostanziali risultati in quella direzione.