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L’innovazione che cambia la customer experience

| FabbricaFuturo | ,

Intervista a Monica Menghini, Executive Vice-President Industry, Marketing and Corporate Communications di Dassault Systèmes

La gestione del ciclo di vita di un prodotto vincente non necessita soltanto delle altissime potenzialità di un software che si tuffi a capofitto nella complessità ingegneristica di un aeroplano o di un’automobile. Ha bisogno del cervello umano che prima di tutto immagini un prodotto innovativo. Dassault Systèmes, software house francese con base a Vélizy-Villacoublay e sedi in tutto il mondo, ha rivoluzionato il concetto di Product lifecycle management con la piattaforma digitale 3DExperience per offrire al consumatore il vero prodotto del futuro, quello più vicino alla sua immaginazione. Con questa piattaforma il designer può progettare il suo sogno, verificare l’attuabilità di un’idea che non è solo sua ma di tutti coloro che partecipano al processo innovativo permettendo alle aziende di sperimentare i loro ambiziosi progetti prima ancora che si trasformino in realtà. Accompagnati da Monica Menghini – Executive Vice- President Industry, Marketing and Corporate Communications – scopriamo come.

A cura di:
Luca Papperini

 

Monica Menghini
Monica Menghini

Chi è Monica Menghini? Qual è il suo percorso professionale?
Sono di estrazione giurista, avvocato di nascita, ‘marketer’ per passione. Mi sono specializza in diritto civile, diritto internazionale e in criminologia, anche se mi occupo di marketing dal 1987, da quando Procter&Gamble mi inviò una richiesta di recruiting. Allora avevo 26 anni, lavoravo già da due come avvocato, ero giocatrice professionista di pallavolo e non sapevo neanche cosa significasse la parola ‘marketing’, ma Procter valutò positivamente proprio la possibilità di formare e plasmare la mia professionalità in questo settore.

Dai criminali a una delle multinazionali più conosciute nel mondo. Un cambiamento epocale…
Procter aveva intuito la mia energia, che mi aveva già permesso di conseguire la laurea, diventare avvocato, giocando allo stesso tempo da pallavolista professionista. Dopo aver superato i test dell’azienda sono entrata a far parte della linea di management di Procter&Gamble – il reparto “incubatore di nuovi Ceo” – dove mi sono da subito innamorata della possibilità di inventare nuovi prodotti. Questa era la cosa che davvero mi interessava. In questo contesto mi hanno insegnato a fare strategia aziendale: ho imparato cosa significa fare pricing, packaging, capital investment nel caso di apertura di nuovi stabilimenti.

Si può considerare una vera e propria Business School?
Sì, assolutamente. Sono rimasta in Procter per 15 anni. Dopo i primi tre anni di carriera sono diventata Category mana ger a livello europeo. Ho vissuto a Londra quando sono diventata responsabile dei cosmetici e a Bruxelles quando mi sono occupata degli shampoo. Ho avuto insomma il piacere di occuparmi di quasi tutte le categorie di prodotti: dai detergenti ai cosmetici passando per i farmaceutici.

Ha lavorato per un’azienda che ha di fatto inventato il marketing. Cosa significa per lei fare innovazione?
Per me l’innovazione inizia e finisce con una parola: idee. L’idea è il nucleo centrale dell’insight innovativo. Non si tratta di invenzioni come, ad esempio, un breakthrough tecnologico. L’innovazione è un’idea differente, qualcosa anche di piccolo che però lascia il segno. Può non essere legata necessariamente al salto tecnologico che permette la fabbricazione di nuovi prodotti.

Qual è il senso più profondo dell’innovazione? Significa fare qualcosa meglio degli altri o diverso dagli altri?
Per me significa fare qualcosa di diverso. Il pensiero innovativo è pensare fuori dagli schemi. Nel Dna degli innovatori esiste sempre la capacità di porsi delle domande. Quando vuoi cambiare il corso degli eventi ti poni delle domande a cui darai risposte che rivoluzioneranno per sempre quello che stai facendo. Il fatto stesso di porsi certe domande consente di intraprendere strade differenti.

Qual è stata l’occasione di incontro con Dassault Systèmes?
Abitavo in Francia da un po’ di tempo e, per seguire mio marito che allora lavorava per Louis Vuitton, la scelta fu abbandonare Procter. Una decisione dolorosa. Dopo poco trovai lavoro in una famosa agenzia di pubblicità, la Saatchi & Saatchi, dove l’impatto iniziale fu forte, abituata com’ero alla struttura di una grande multinazionale. Nel disordine iniziai a portare ordine. Mentre stavo lavorando allo sviluppo del polo digitale per Publicis Group, mi chiesi che strada avrebbe percorso il comparto digitale. La risposta fu: il 3D.
Così incontrai Dassault Systèmes. Mi resi subito conto che il 3D di Dassault Systèmes aveva uno strettissimo legame con l’esperienza di tutti i giorni perché il comportamento degli oggetti descritti dalle proiezioni tridimensionali aderiva perfettamente alla realtà.

Quindi si è così appassionata al lavoro di Dassault Systèmes che da consulente esterno diventò un manager interno alla società francese?
Esatto. Entrai in un’azienda di veri ‘scienziati del software’, dove le domande e le risposte erano rappresentate dagli algoritmi. Mi resi subito conto che si trattava dello stesso processo di problem solving a cui ero abituata; si presentava però sotto un’altra forma. Mi sono subito trovata nel mio ambiente. Gli ingegneri lavorano sempre ponendosi delle domande.

Cosa significa fare la ‘top manager in rosa’? Riesce a conciliare gli impegni professionali con quelli famigliari?
Potrei dire di essere nata ‘super incasinata’. Nonostante tutte le attività che ho voluto svolgere parallelamente nella mia vita, sono sempre riuscita a mettere insieme i pezzi di questo puzzle. Mantenere un equilibrio tra vita privata e professionale è sempre difficile, ma è anche vero che sono stata aiutata dal fatto che anche mio marito lavorava nella stessa azienda. Ora siamo separati da cinque anni. Ma la nostra separazione è indipendente dall’aver dedicato più o meno tempo alla vita privata, siamo solo cresciuti in modo diverso.

Quali differenze ha riscontrato tra l’Italia e gli altri paesi in cui ha vissuto? Forse all’estero le donne hanno uguali possibilità rispetto ai colleghi uomini di ricoprire ruoli da dirigente?
In altre culture quella che è definita una ‘diversity’ è considerata un valore da proteggere. Ma l’obiettività dei risultati raggiunti da una persona è più importante del mantenimento della ‘diversità’. Ho fatto carriera perché ero meglio di tanti altri.

Dassault Systemes Campus a Velizy-Villacoublay
Dassault Systemes Campus a Velizy-Villacoublay

Parliamo ora del business di Dassault Systèmes. Abbiamo prima accennato al 3D. Il claim di Dassault Systèmes è: ‘The 3DExperience Company’. Perché questo nome?
In quanto marketer mi pongo sempre le stesse domande: chi è il mio target? Qual è il posizionamento che voglio dare al prodotto? Cosa si può fare per raggiungerlo? Sono le tre domande che mi sono posta in Dassault Systèmes. Appena entrata in azienda ho visto una società che si è evoluta in modo brillante per 30 anni grazie alle innovazioni tecnologiche ma senza una direzione strategica forte al di là della strategia di prodotto. Dassault Systèmes è la società che ha inventato il 3D digitale, un’innovazione grazie alla quale oggi è possibile far volare gli aeroplani prima ancora di costruirli. Il portafoglio di Dassault Systèmes vanta un’ offerta di applicativi, market leader nei propri settori: simulazione, design virtuale, life-cycle management, realtà virtuale. Il fil-rouge che unisce questi punti si traduce nella possibilità che offriamo alle aziende di creare prodotti migliori in minor tempo. Lo scopo ultimo dei nostri software è sperimentare una prototipazione digitale che aderisca perfettamente all’esperienza che il consumatore si aspetta di ottenere. Gli utenti finali non comprano solo un prodotto, comprano delle esperienze. Si tratta di creare una ‘winning consumer experience’ che facilita la mia proposizione rispetto a quella dei concorrenti.

Il consumatore sogna prodotti che cambieranno la sua vita. Con il 3D si va a toccare la sfera più emotiva della ‘customer experience’. È questo il vostro segreto?
Noi serviamo le industrie ma le industrie servono i consumatori finali. Occorre allora definire perché la ‘customer experience’ è migliore per alcune aziende piuttosto che per altre. Il successo sul mercato non dipende solo dal prodotto, ma dal servizio, dalla promozione e dall’advertising, dal prezzo e anche dalla comprensione profonda del cliente. Tutto questo va al di là della potenzialità di un software, che in sé non riesce a risolvere la complessità percepita di un prodotto. La differenza portata da Dassault Systèmes sta nell’aver saputo connettere tutti questi aspetti ponendoli sotto una visione unica d’impresa: da un mondo di ingegneri che serve ingegneri, a un mondo di ingegneri che serve il business.

Continuiamo a parlare di consumatori finali: quanto è importante per voi il loro feedback? Gli innovatori di Dassault Systèmes innovano insieme con i consumatori?
Esattamente. Lo facciamo sia attraverso un contatto diretto con gli end user, sia attraverso i nostri clienti. I dipartimenti marketing creano un brief per gli ingegneri che inventano il prodotto. Gli ingegneri testano il prodotto con il cliente per ricevere un primo feedback. Una volta che il prodotto è testato va in produzione. Dopo la produzione, tocca al marketing che ‘confeziona’ l’output di tutto questo processo che ritorna, poi, sul consumatore. Oggi il business richiede di slegarsi dalla parte ingegneristica e toccare il più possibile l’esperienza del cliente: sia che faccia aeroplani sia che produca cosmetici.

IF WE: è il vostro claim. Ci può spiegare meglio cosa significa? Perché lo avete scelto?
Nel business e nella vita ci sono situazioni complesse da analizzare, situazioni in cui si fanno i conti con la nostra creatività. Se facessimo così invece di come abbiamo sempre fatto? È l’essenza del pensiero innovativo. Sono convinta che l’innovazione può venire da qualsiasi idea che sia differente. ‘If’ significa avere una attitudine al cambiamento contagiosa. ‘We’ perché le creazioni non si fanno da soli ma devono essere condivise, diventare ‘social’. Lo scambio di idee diventa molto più prolifico se siamo in grado di confrontarci con gli altri. Il concetto di ‘Social innovation’ vuole significare proprio questo: lavorare in modo più sociale all’interno e all’esterno dell’impresa. Lavorare ‘social’ significa confrontarsi con il pensiero destrutturato, come succede spesso nel mondo del fashion, per esempio. Da questo modo di lavorare nascono prodotti più innovativi.

Monica Menghini, Dassault SystemesStiamo parlando di un’innovazione aperta, di un pensiero sociale che non deve avere limiti. Poi però ci scontriamo tutti i giorni con il mondo della produzione e con i suoi vincoli. Allora bisogna mantenere un equilibrio. Questo non rischia di impoverire la creatività?
Credo sia il contrario. Il mondo delle operations non vincola la creatività perché è sempre possibile investire per cambiare. Se un’impresa utilizza piattaforme rigide allora uccide la creatività, perché l’innovazione non avviene lì, ma è già avvenuta da qualche altra parte. In quel caso il ‘social’ serve solo per uno scambio di informazioni. La vera innovazione avviene in modo non digitale, attraverso il brainstorming, nei meeting, in situazioni che non tengono memoria strutturata di quello di cui si parla. La piattaforma ‘social’ dovrebbe allora tenere una traccia di tutto questo, ma è solo uno strumento da affiancare al libero pensiero. L’innovazione parte dal caos e finisce nel caos.

La domanda pare a questo punto scontata: l’innovazione si trova solo nella mente del progettista o nelle potenzialità – seppur altissime – di un software?
I software sono dei semplici mezzi che permettono al tuo sogno di diventare realtà. La verità è che la mente umana ha bisogno di vedere in anticipo che un prodotto cambierà il mondo più di un altro. Per fare questo abbiamo bisogno di qualcosa che permetta di testare il nostro sogno in un ambiente virtuale senza che si sia ancora trasformato in realtà. Questo significa aiutare gli innovatori a innovare meglio.

Come si immagina il prodotto del futuro? Quali caratteristiche dovrebbe avere?
Il prodotto del futuro dovrà essere fatto per connetterci meglio al resto del mondo. L’‘internet delle cose’ significa che qualsiasi cosa sarà connessa con un’altra. Il mondo digitale ci offre la possibilità di abitare in città più vivibili grazie alla tecnologia. Dieci anni fa guardavamo ‘Minority report’ e tutto sembrava così lontano. Oggi è già realtà.

Next step per Dassault Systèmes?
Andiamo verso la solidificazione della nostra regia senza paura dei competitor, che sono legati a un posizionamento in cui il valore del software è ancorato solo al prodotto digitale e non all’esperienza del consumatore. È un anno che abbiamo rilanciato il posizionamento di Dassault Systèmes attraverso il concetto e la piattaforma 3DExperience. Direi che oggi il successo è chiaro ormai a tutti.