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Lo stop al Diesel come opportunità per un’Italia competitiva

| Enrico Pisino |

Il 9 giugno 2022 l’Europarlamento ha approvato la proposta della Commissione europea di vietare la vendita di veicoli con motori diesel, benzina e Gpl a partire dal 2035. Un intervento politico su misure tecniche da adottare per conseguire gli obiettivi di emissione di Anidride carbonica, ma privo di un necessario respiro globale, ossia di un dialogo paritario con i Paesi extraeuropei e con le importanti potenze industriali mondiali, che potrebbe essere letto come un’azione parziale, rispetto all’importante tema della sostenibilità ambientale e addirittura penalizzante per l’industria della stessa Europa.  

La decisione, infatti, può anche essere interpretata come una forzatura del principio di neutralità tecnologica, secondo il quale non spetta alla politica individuare le soluzioni tecniche che dovrebbe, invece, garantire una sana competizione di pluralità di soluzioni. Se ci limitiamo a osservare la questione sul fronte puramente ‘ambientale’ appare evidente che la direzione è corretta: si tratta di salvaguardare il Pianeta e quindi la salute delle future generazioni. Ragionando sotto il profilo economico, invece, la lettura assume connotati più complessi.  

Investire in ricerca e puntare sulla Circular economy 

Stiamo parlando di economia e competitività industriale del settore automotive. L’Italia, negli ultimi 15 anni, ha perso posizione rispetto ai migliori Paesi europei (Germania e Francia) e nessuna azione sembrerebbe in grado di invertire questa tendenza nel breve termine. Basta analizzare gli andamenti negli anni dei volumi di auto prodotte o dei posti di lavoro dell’indotto rispetto ad altri Paesi europei; forse siamo riusciti a difenderci per alcuni comparti sul fronte dell’esportazione della componentistica. Possiamo, inoltre, osservare per questo comparto come si siano ridotti gli investimenti pubblici in Ricerca e Innovazione sia in assoluto sia in relativo, consuntivando mediamente ogni anno un decimo di quelli fatti in Germania.

Lo sviluppo dell’elettrico però, che possiamo considerare ancora in fase di avvio e piena evoluzione, rimette tutta l’Europa sullo stesso piano. L’Italia potrà così trarne beneficio e decidere se essere protagonista nello sviluppo del powertrain elettrico e delle batterie. Ma bisogna prestare attenzione a non limitarsi a considerare solo le opportunità di sviluppo dell’hardware, come in passato, provando a cogliere anche quelle di un prodotto auto sempre più digitale, prendendo coscienza della rilevanza del software, dei servizi e, aggiungo, del business della Circular economy, che è destinato a crescere nel tempo affinché si possa raggiungere pienamente la sostenibilità del sistema trasporti. 

A livello italiano potremmo investire in ricerca, competenze e infrastrutture per riprenderci una leadership che ci compete, sebbene in un contesto in cui oggi le tecnologie delle batterie ci penalizzano sul fronte, soprattutto, della dipendenza da altri per la disponibilità di materie prime.  

Agire con prontezza per non perdere competitività 

Le competenze dell’ecosistema italiano su sviluppo di prodotto, Time-To-Market, analisi di sistema, design e stile, componentistica meccanica e meccatronica, per fare alcuni esempi, possono consentire al nostro Paese di essere protagonisti anche oltre il 2035. Occorre, però, agire in modo tempestivo esattamente come stanno facendo da anni altri ecosistemi industriali molto evoluti, come per esempio Francia e Germania. 

Suggerirei alla politica di non bandire per definizione il motore a combustione interna per non escludere gli eventuali risultati della ricerca e i benefici già evidenziati degli ecofuel e sfruttare ancora l’eccellenza europea dei sistemi del powertrain tradizionale. 

In conclusione, come sistema Paese serve considerare ciò che questa decisione ha chiarito come visione sistemica e roadmap di medio e lungo periodo, identificando la migliore strategia per l’industria italiana dell’Automotive e organizzandosi con coerenza e velocità nello sviluppo di nuove filiere e nel mettere a terra quelli che appaiono oggi ancora solo dei buoni propositi.