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FabbricaFuturo. Il Mezzogiorno che non ti aspetti

| Redazione | ,

Federico Pirro, Professore Associato di Storia dell’Industria presso l’Università di Bari, ha lanciato un appello: “L’industria del Mezzogiorno va valorizzata, rappresenta un grandissimo un patrimonio per tutto il Paese. Va difesa dai detrattori che cercano di minimizzarne il ruolo”. Il palco da cui il docente ha fatto sentire forte e chiara la sua voce è la tappa di Bari del convegno FabbricaFuturo, organizzato dalla casa editrice ESTE.

Il momento è delicato, il Governo ha mantenuto, con alcune modifiche, le agevolazioni per l’Iperammortamento e sono stati invece eliminati gli incentivi alla formazione. Il Piano Impresa 4.0 è stato prorogato anche se i desiderata erano quelli di trasformarlo in un intervento strutturale, per poter dare continuità agli investimenti e lavorare a una crescita di lungo periodo.

Ma qual è la situazione del Mezzogiorno e quali sono le potenzialità di questo territorio?

Il Pil del Mezzogiorno supera l’immaginazione

Forse infatti non sono in molti coloro che sanno che, secondo i dati del 2016, il Prodotto interno lordo del Sud, pari a 379,2 miliardi di euro, ha superato quello dell’Italia centrale di 360,9 miliardi, ed è stato solo del 2,2% inferiore a quello del Nord-Est di 387,7 miliardi.

“E quanti sanno”, ha incalzato Pirro, “che il Pil del Mezzogiorno supera quello di alcuni Stati dell’Unione europea?”. Esso infatti è stato superiore nel 2015 a quello assommato di Portogallo e Grecia, ma anche a quello aggregato di Romania e Finlandia, o ancora quello assommato di Danimarca e Slovenia.

Risorse e occupazione

Federico Pirro
Federico Pirro

A una più attenta osservazione salta subito all’occhio che le tre più grandi fabbriche del Paese sono tutte situate nel Mezzogiorno: Ilva di Taranto (oltre 10mila dipendenti), FCA a Melfi in provincia di Potenza (con 7mila) e Sevel di Val di Sangro nei pressi di Chieti (più di 6mila).

Tali stabilimenti a loro volta alimentano un indotto di ‘primo livello’ che impiega circa 7.000 persone nell’area ionica al servizio del Siderurgico – che tuttora è anche la maggiore acciaieria ‘singola’ a ciclo integrale d’Europa – mentre 4.158 lavorano nella Supply chain insediata presso la FCA a San Nicola di Melfi e 3.500 sono al servizio della Sevel.

Ma anche altri fra i maggiori impianti italiani – fra cui la FCA a Pomigliano d’Arco (Napoli) con i suoi 4.749 occupati diretti – sono insediati in aree meridionali.

Nonostante la durissima fase recessiva che ha colpito dall’ultimo trimestre del 2008 l’economia italiana, le regioni del Mezzogiorno presentano tuttora un apparato industriale caratterizzato dalla rilevante presenza di grandi imprese i cui impianti, in alcuni casi, sono i più grandi d’Italia, nei rispettivi comparti, per numero di addetti e volumi produttivi.

I principali settori industriale del Mezzogiorno

I settori strategici dell’industria nazionale in cui sono in esercizio siti produttivi localizzati nel Sud sono costituiti da Siderurgia a ciclo integrale, Estrazione petrolifera, Raffinazione, Chimica di base e chimica fine, Industria aerospaziale, solo per citarne alcuni.

Sono diffusamente presenti anche numerosi medi e grandi impianti di multinazionali italiane e straniere in comparti dell’industria leggera: Agroalimentare, Tessile Abbigliamento Calzaturiero (TAC), Legno mobilio.

È presente inoltre l’industria della carta stampata con quotidiani, periodici e case editrici, e della comunicazione radio-televisiva con emittenti locali.

Pirro ci ha tenuto però a precisare che le imprese e gli stabilimenti citati in precedenza “non esauriscono l’intero panorama dell’apparato manifatturiero del Mezzogiorno”: “A esso si affiancano le imprese edili che sono parte significativa dell’industria nel Sud, così come le attività estrattive di materiali litici”.

Questo apparato industriale deve essere ulteriormente rafforzato, diversificato, innovato, reso ancor più competitivo, ma costituisce già una base consolidata per un nuovo grande balzo al servizio del Mezzogiorno e dell’Italia intera.

Investire in competenze e finanziare l’innovazione

Graziano Leuzzi, Account Manager Public Sector di Cisco
Graziano Leuzzi, Account Manager Public Sector di Cisco

La competitività di un Paese si poggia sul suo livello di digitalizzazione. Innovare significa cambiare i modelli di business e raccogliere la sfida dell’internalizzazione per crescere. Uno degli aspetti più critici in Italia riguarda la carenza di competenze digitali.

Le imprese beneficiando del Piano Industria 4.0 hanno fatto qualcosa per migliorare questo scenario investendo prevalentemente in eBusiness e scambio di informazioni elettroniche. L’impressione di Cisco e Brand id è che però non basti: ci si muova più in funzione di urgenze specifiche che di un vero e proprio progetto strategico completo di miglioramento dell’impresa. Inoltre il livello di investimenti complessivi nella digitalizzazione risulta ancora troppo basso se comparato a quello delle altre nazioni europee.

Massimo Gurrado
Massimo Gurrado

Alla luce delle anticipazioni sulla prossima legge di Bilancio 2019, Massimo Gurrado, Area Manager Centro-Sud di Warrant Group/Gruppo Tecnoinvestimenti ha presentato il quadro degli strumenti finanziari e dei contributi a fondo perduto a supporto degli investimenti e dei processi di ricerca e innovazione.

Particolare attenzione è stata posta al possibile utilizzo complementare e sinergico di diversi strumenti per la pianificazione strategica degli investimenti.

Nel supportare il processo di digitalizzazione, importante anche il ruolo del Competence center del Politecnico di Bari per il trasferimento di conoscenze e innovazione a questa regione, a riprova che il Mezzogiorno è un territorio che sta dimostrando grande reattività, e le aziende che hanno portato la loro testimonianza a FabbricaFuturo Bari l’hanno dimostrato.