Oltre la Lean Production: il Lean Product Development

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Il lean thinking è una filosofia organizzativa, “un modo di pensare e di agire”, ideato dalla pioniera Toyota negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale in Giappone, oggigiorno diffusa in tutto il mondo. TaiicIhi Ohno, ingegnere meccanico dirigente della casa automobilistica, è considerato il padre del Toyota Production System, inizialmente detto anche Just in Time (Jit), e poi indicato come Lean Thinking (o anche solo lean) nella prima edizione del famoso best seller The machine that changed the world che Womack, Jones e Roos pubblicarono nel 1990 negli Stati Uniti. All’uscita del libro, le dimensioni di Toyota non superavano i due terzi di quelle di Ford e sfioravano a malapena la metà di quelle di General Motors; oggi Toyota ha superato entrambe le storiche case automobilistiche statunitensi, diventando la più grande azienda del settore, fondando il proprio successo sull’adozione del lean.

A cura di:
Monica Rossi, Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria Gestionale
Sergio Terzi, Università degli Studi di Bergamo, Dipartimento di Ingegneria industriale

Lean Thinking

Il nuovo paradigma industriale introdotto dal lean è basato sulla creazione di valore per il cliente, ossia tutto ciò (risorsa, processo o azione) per il quale il cliente stesso è disposto a pagare. Al contrario, tutto quello che non concorre alla creazione di valore è considerato spreco (muda in giapponese e waste in inglese) e, pertanto, va eliminato dal processo che deve risultare reattivo, veloce, essenziale, per l’appunto “snello”. La logica basilare del lean è quella di creare valore con meno sforzo possibile in termini di tempi e costi, usando il minimo delle risorse necessarie, cercando di azzerare le scorte e mantenendo un elevato livello qualitativo, per fornire al cliente esattamente ciò che vuole, quando lo vuole e nella quantità desiderata. Questo concetto è riassunto in cinque – ormai famosi – principi che stanno alla base del “pensiero” lean:

  1. Identificare il valore: specificare correttamente cosa abbia valore per il cliente finale, in termini di specifico prodotto con determinate caratteristiche, offerto in un certo momento e a un dato costo;
  2. Identificare il flusso del valore: individuare l’intero flusso del valore allineando le attività che creano valore nella giusta sequenza, mappando il flusso in termini di materiali e informazioni, rimuovendo tutti i passi che non concorrono alla creazione di valore, ma anzi creano muda/waste;
  3. Far scorrere il flusso del valore: eseguire le attività a valore in modo continuato, senza interruzioni, per ridurre drasticamente il tempo d’attraversamento di prodotti e informazioni;
  4. Permettere al cliente di tirare il processo: progettare e produrre solo quello che vuole e quando lo vuole, piuttosto che “spingere prodotti” basandosi su previsioni e stime;
  5. Puntare alla perfezione: ricercare la perfezione in ogni momento, cercando di rimuovere ogni possibile causa di spreco. La perfezione è in realtà irraggiungibile, proprio per questo non ci si può mai rilassare e va attuato un processo di miglioramento continuo.

Lean Product Development

Per concorrere al compimento di tali principi, il lean può contare su un’ampia gamma di strumenti, metodologie e tecnologie, introdotti e sviluppati per essere utilizzati in modo combinato e sinergico per favorire la creazione del valore per il cliente. Tra questi, i più diffusi e utilizzati sono i numerosi metodi applicabili in produzione (lean production), come il cartellino Kanban, il Kaizen, il Tpm (Total Productive Maintenance), il Value Stream Mapping, lo Smed (Single Minute Exchange of Dies) e le Six Sigma.
Non tutte le tecniche del lean nacquero, però, esclusivamente con il toyotismo di Ohno, anzi, molte di esse erano già state introdotte da altri grandi ingegneri industriali, come Deming (ad esempio la ruota Pdca, Plan Do Check Act) e Taylor (ad esempio la standardizzazione delle operazioni), ma fu l’uso appropriato e una giusta combinazione di esse che costituirono la vera “innovazione lean” introdotta dall’azienda giapponese. Dalla fine degli anni ‘70, con il diffondersi del lean dall’isola nipponica al continente americano, furono condotti numerosi esperimenti di applicazione del lean nelle imprese occidentali, non sempre con grande successo. Applicazioni parziali e non strategicamente supportate fallirono in più di un’occasione, mancando di quella visione di insieme che la Toyota è stata invece in grado di costruire, adottando il “pensiero snello” in maniera pervasiva, lungo l’intero insieme di operazioni necessarie a realizzare il prodotto, dalla valutazione e analisi di mercato, alla progettazione/ingegnerizzazione, al coordinamento della supply chain, alle operations, fino alle vendite e ai servizi post vendita. Proprio su questa capacità olistica di applicazione della logica lean, si fonda – a detta della maggior parte degli analisti – il vero successo di Toyota. La lean production è stata ampiamente studiata dalla fine degli anni ‘70 fino agli inizi del 2000; in seguito diversi ricercatori hanno iniziato ad approfondire ciò che hanno poi definito il cuore del Sistema Toyota, il processo snello di Sviluppo Nuovo Prodotto (Lean Product Development). Un contributo particolare è stato offerto da Liker che per primo ha introdotto una visione globale del lean, considerando non solo l’aspetto della creazione del valore ed eliminazione degli sprechi in produzione, ma anche tutti gli elementi che infieriscono sull’intera fase di progettazione. Il passaggio non è semplice. In produzione è relativamente facile analizzare e tenere sotto controllo il processo, visto che l’oggetto del flusso è un pezzo vero e proprio, fisicamente visibile e individuabile. In progettazione, invece, le cose si complicano, giacché il flusso si snoda lungo un processo altamente ricorsivo, fisicamente composto da informazioni e conoscenza (più o meno tangibile), dalle prestazioni non sempre immediatamente ponderabili e dai waste difficilmente identificabili.
Il Lean Product Development è realizzabile tramite diversi metodi, tecniche e strumenti, classificabili in Metodologie Organizzative; Tecniche di Recupero e Condivisione della Conoscenza; e Tecnologie Informatiche per la Creazione e la Gestione delle Informazioni di Prodotto/Processo.

Tra le metodologie organizzative occorre citare quanto segue:

  • Concurrent Engineering (Ce), è un approccio sistematico – per la prima volta definito a fine degli anni ‘70 negli Stati Uniti – alla progettazione integrata dei prodotti e dei loro processi produttivi e di assistenza post vendita, che costringe alla considerazione di tutti gli elementi del ciclo di vita del prodotto, dal concept alla dismissione. Con il Ce si sviluppa un meccanismo organizzativo che facilita l’integrazione delle diverse funzioni aziendali che devono interagire per sviluppare e introdurre un prodotto nel mercato. Con il Ce, si opera con Team Interfunzionali, minimizzando così errori e mancanze di comunicazione e incoraggiando la nascita di comunicazioni informali. Team con differenti background favoriscono l’ampliamento della base di conoscenza e fanno sì che il progetto possa attingere a più fonti. Nel team devono essere coinvolti fin dalle primissime fasi di sviluppo i fornitori selezionati, con cui condividere informazioni rilevanti (come specifiche, costi, tecniche produttive e ritorni economici) per attuare virtuosi circoli di coinvolgimento e miglioramento continuo;
  • Set Based Concurrent Engineering (Sbce), è un metodo di progettazione che si basa sulla logica del Ce, integrando le diverse funzioni aziendali in fase di progettazione. Tipico del processo di sviluppo di Toyota, questo approccio richiede la generazione simultanea di un ampio spettro di alternative (es. componenti per un dato prodotto), che vengono sviluppate e prototipate contemporaneamente. Ogni soluzione è poi gradualmente rifinita o eliminata lungo il processo, durante il quale vengono considerate possibili combinazioni dei componenti in differenti modi, creando così una regione di soluzioni ammissibili. Anzichè quindi essere definita inizialmente e a priori, la configurazione di sistema evolve grazie a “combinazioni creative” delle varie soluzioni, via via eliminate fino ad arrivare alla soluzione finale (Figura 1). Questo comporta la creazione di una grande quantità di informazioni che non verranno subito sfruttate. Le alternative scartate, infatti, avranno generato della conoscenza che non aggiunge direttamente valore al prodotto, ma sicuramente è importante e riutilizzabile per facilitare la progettazione di prodotti futuri.

FabbricaFuturo è il progetto di comunicazione rivolto a tutti gli attori del mercato manifatturiero (responsabili delle direzioni tecniche, imprenditori e direzione generale, responsabili organizzazione e HR) che ha l’obiettivo di mettere a confronto le idee, raccontare casi di eccellenza e proporre soluzioni concrete per l’azienda manifatturiera di domani.

Nasce nel 2012 dalla rivista Sistemi&Impresa come reazione alla crisi finanziaria del 2011. Negli anni il progetto è cresciuto significativamente, parallelamente alla definizione di politiche pubbliche in ambito industria 4.0 (Piano Calenda e successivi).
Oggi FabbricaFuturo affronta i temi legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), per offrire alle aziende gli strumenti per affrontare le sfide nella fabbrica di domani.

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