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Globalizzazione 2.0: Il Global Product Development

| FabbricaFuturo |

La globalizzazione è la tendenza dei fenomeni economici, culturali e tradizionali di assumere una dimensione mondiale, che attraversa ogni confine nazionale o regionale. Con la sua caratteristica multidimensionale e multidisciplinare, influisce su tutti i processi di business, dalla produzione allo sviluppo del prodotto. La globalizzazione esiste dall’inizio della storia umana: tutti gli imperi del passato e le rivoluzioni industriali l’hanno affrontata. Tuttavia, il significato attuale della globalizzazione è nato agli inizi degli anni ottanta, anche se la sua importanza nel business non è stata immediatamente compresa dalla comunità mondiale. Con l’avvento degli anni novanta, la globalizzazione ha incrementato la sua potenza. In un primo periodo, la globalizzazione è stata solo una mera esternalizzazione degli impianti produttivi, principalmente una manovra speculativa con cui le aziende manifatturiere hanno cercato di ridurre i costi del lavoro spostando alcune delle loro attività in paesi meno costosi. Più tardi, con la rivoluzione di Internet e l’aumento delle architetture web-based, le imprese hanno iniziato a spostare i “processi soft”, come il supporto al prodotto, i servizi bancari, il customer care, ecc. Presto, le attività più intellettuali ed a  valore aggiunto (dallo sviluppo software alla ricerca e sviluppo) sono diventate globali, coinvolgendo i paesi emergenti, come Cina e India. A poco a poco molte aziende hanno abbandonato la loro riluttanza alla globalizzazione diventando entità transnazionali, cercando il modo migliore per mantenere il loro vantaggio competitivo nel mercato globale e  scovando i migliori talenti in ogni angolo del mondo. Con l’evoluzione della tecnologia ed una migliore comprensione del contesto, il paradigma del GPD (Global Product Development) è stato poi definitivamente condiviso.
A partire dalle aziende multinazionali, molti altri attori hanno fatto lo stesso ottenendo risultati rilevanti, e molti autori hanno cercato di definire modelli comportamentali con cui descrivere i driver decisionali della globalizzazione e del GPD in particolare, ma nessuno di loro ha esaminato il legame tra le strategie e le tecnologie adottate. Il presente articolo si propone di stabilire un modello multidimensionale per colmare le lacune ancora esistenti in letteratura.

A cura di:
Paolo Rosa, Politecnico di Milano, Department of Management, Economics and Industrial Engineering
Sergio Terzi, Università degli Studi di Bergamo, Department of Industrial Engineering

Stato dell’arte del GPD

Il GPD è un concetto affrontato da molti accademici e ricercatori, usando termini diversi come Distributed Product Development (PDMA Handbook 2008), Global/International R&D (Von Zedtwitz e Gassman 2002), Global Collaboration (MacCormack et al. 2007) e Global Innovation (Cleveland 2006). Nella sua visione più ampia, il GPD è un processo di sviluppo prodotto unificato dove i team di progettazione lavorano in modo collaborativo su un singolo processo o prodotto partecipando da più aree geografiche (Eppinger e Chitkara 2006). Esso coinvolge sia le strategie di R&D sia quelle di marketing (Yelkur et al. 1996, Guerini 2006, Kumar et al. 2009) e, ovviamente, influisce anche sull’educazione dei giovani ingegneri e designer (Bilen et al. 2002).
Il processo di Product Development (PD) in molti settori produttivi è sempre più oppresso dalla concorrenza globale e da una serie di pressioni crescenti, che chiedono di: (i) migliorare qualità e innovazione del prodotto, (ii) ridurre i costi dei prodotti, (iii) ridurre il time-to-market, (iv) rapida risposta alle mutate esigenze dei clienti, (v) reazione a cicli di vita del prodotto ristretti e gestione dei processi di anzianità, (vi) creare by-products e up-sell products, ampliando la definizione del prodotto (ad esempio con nuovi servizi offerti). Con queste pressioni che spingono lo sviluppo dei prodotti ad una velocità sempre crescente, molti analisti (Eppinger e Chitkara 2006, Hojlo et al. 2007) hanno notato che molte imprese manifatturiere appartenenti ad una gamma diversificata di settori industriali hanno formalmente esaminato le opportunità offerte dal GPD. La velocità con cui le imprese manifatturiere stanno esternalizzando a soggetti esteri è un bilanciamento equilibrato tra rischi di sviluppo del prodotto e la necessità di restare competitivi. Le motivazioni principali che spingono questa, relativamente nuova, ondata della globalizzazione sono generalmente riassunte in quattro punti (Eppinger e Chitkara 2006, Graber 1996, Kottolli 2007, Von Zedtwitz e Gassman 2002): (i) i costi, (ii) la prossimità ai mercati (iii) le competenze disponibili e (iv) il rispetto delle caratteristiche ambientali (ad esempio le normative locali e gli standard).
Il GPD è principalmente una questione organizzativa, generalmente definita come CPD (Collaborative/Concurrent Product Development). Il CPD consiste nell’organizzare team distribuiti per migliorare le strategie di GPD. I suoi obiettivi sono la ricerca della conoscenza all’interno di altre organizzazioni (Rodriguez et al. 2005) e l’agevolazione ai cittadini nella partecipazione alla GPD chain, in collaborazione con partner geograficamente distribuiti (Li et al. 2007). Coinvolgendo le persone, diventa fondamentale la capacità di gestire i meccanismi di collaborazione e integrazione (Mudambi et al. 2007, Jin et al. 2007).
Molti autori (Poole 2004, Molina et al. 2005, Eppinger & Chitkara 2006, Kottolli 2007, Lasserre 2007, Yam et al. 2007, Ruy et al. 2008, Reich et al. 2009) indicano la comunicazione, la formazione e l’istruzione come elementi fondamentali del GPD. Essi sono in grado di fornire ai membri del team di progetto la capacità di problem-solving, il sostegno morale e i meccanismi per gestire un ambiente distribuito. Coinvolgere le persone introduce, inoltre, tutti gli aspetti tipici della gestione delle risorse umane, la gestione dei team in particolare. Tutto questo, come molti autori segnalano (de Brentani et al. 2004, Santos et al. 2004, Kleinschmidt et al. 2007, Mudambi et al. 2007, Andersen et al. 2009), costituisce una serie di sfide organizzative e gestionali per le imprese e mette in evidenza la capacità delle multinazionali di influenzare le loro competenze innovative attraverso una distribuzione globale e di creare valore.
L’aspetto culturale è un altro grande problema nella gestione della squadra descritto da molti autori (Santos et al. 2004, Ambos et al. 2004, Sivakumar et al. 2003, Pitta 2005, Perks et al. 2003). Diversi valori culturali possono creare conflitti, incomprensioni e inefficienze ma, al tempo stesso, una eterogeneità culturale può favorire la generazione di nuove idee e creatività. Nonostante tutti questi problemi, nella seconda metà degli anni novanta l’impiego dei team distribuiti è divenuta una pratica diffusa. Esempi che dimostrano questa espansione si trovano in molti articoli (Graber 1996, McDonough et al. 2001, Ambos et al. 2004). La collaborazione è la nuova fonte dei vantaggi competitivi (MacCormack et al. 2007). Per la sua gestione esistono molti modi: (i) una visione Timescape (Harvey et al, 2007), (ii) una visione del contesto spazio/tempo (Martinez 2008) oppure (iii) una visione da Stakeholder (Ghosh et al., 2004). I team virtuali (VT) sono l’alternativa migliore per supportare la collaborazione, secondo diversi autori (Tavčar et al. 2005, Harvey et al. 2007, Thal et al. 2007). I VT sono team culturalmente diversi, geograficamente distribuiti e comunicanti per via elettronica che pensano ed agiscono di concerto. Un VT diventa fondamentale per il successo. Queste ricerche hanno dimostrato che, con i progressi tecnologici, lavorare con i VT sta crescendo in importanza, anche se le conoscenze e le competenze specifiche dei membri del gruppo restano un ostacolo maggiore che la comunicazione tra diversi strumenti tecnologici. Smeds et al. (2003) e Molina et al. (2005) indicano, invece, le comunità di pratiche come l’unica via per lo sviluppo di un processo di business globale, inteso come un equilibrio tra la negoziazione e apprendimento tra la pratica locale e la pianificazione globale.
Una serie di consigli per un’applicazione pratica del GPD sono offerti da molti autori (Graber 1996, Yelkur et al. 1996, Ichijo et al. 2008). ODM (Original Design Manufacturing), e la sua derivazione CDM (Collaborative Design Manufacturing) sono due esempi significativi di ciò che può essere fatto con una strategia di GPD ben definita che coinvolge più imprese indipendenti, come descritto in diversi articoli (Chu et al 2005.; Wu, 2007; Hsu 2009). In molti contributi – come Chesbrough (2003), Lynn et al. (2005) e Hojlo et al. (2007) – il GPD viene associato con i fenomeni di esternalizzazione della R&D, nonché con il Mobile Working. Come osservato in Coe et al. (2004), lavorando in network di imprese ha evidenziato l’importanza della struttura organizzativa del sistema produttivo globale e il suo rapporto con il miglioramento del settore. Il GPD non porta solo benefici, ma problemi, come sottolinea Palpacuer et al. (2003),  e non sempre è adatto a tutte le società.
Il GPD crea alle imprese una serie di dilemmi (Von Zedtwitz et al. 2004), che hanno forti implicazioni manageriali e richiedono un’adeguata gestione della localizzazione dei rischi (Hojlo et al. 2007; Leung et al. 2008). Inoltre, può richiedere la concentrazione e/o il controllo delle attività di R&D distribuite in tutto il mondo in distaccamenti o presso partner tecnologici. Questa centralizzazione del controllo rende possibile lo sfruttamento delle economie di scala, la riduzione dei costi di sviluppo e del TTM e bilancia meglio la comunicazione e il coordinamento tra le squadre. La scelta di centralizzazione può dipendere da una serie di fattori: (i) le politiche industriali, (ii) gli incentivi, (iii) la presenza (potenziale o reale) di tecnologie utili, università, istituti di ricerca, istruzione. È anche strategicamente importante per l’esistenza di competenze locali. Qualunque sia la strategia, è importante analizzare:

•Fattori esterni: le caratteristiche del contesto (Coe et al 2004; Kottolli 2007; Yang et al. 2009), i tipi di governance (Boehe 2008), l’allocazione operativa (Vos et al. 1996), standard, leggi e norme locali (Gunzenhauser et al. 2008).

•Fattori interni: il paese d’origine, i gruppi di gestione dei prodotti, la cultura prevalente e pratiche gestionali ed organizzative (Gerybadze et al. 1999), il commitment del management, la modularità dei prodotti/processi, le competenze, la proprietà intellettuale, la qualità dei dati, le infrastrutture, la governance (Eppinger e Chitkara 2006; Kottolli 2007; Lasserre 2007).

1 Tecnologie di PLM e GPD

La prima tecnologia di collaborazione a supporto del GPD – in ordine cronologico – è stata il PDM (Product Data Management). Secondo Abramovici et al. (1998), il PDM è uno strumento idoneo a sostenere i team di sviluppo prodotto, grazie alla gestione dei dati e il controllo in tempo reale dell’intero processo. L’evoluzione dei sistemi PDM è stata, poi, rappresentata dal Groupware (Wedlund 2000). Groupware significa la condivisione delle informazioni in tempo reale all’interno di reti fisiche e virtuali tra gruppi di lavoro distribuiti. Grazie al suo potenziale, questo strumento è divenuto l’artefice dell’espansione del network al di fuori dell’azienda (Dustdar et al. 2003).
Le tecnologie di GPD hanno, poi, influenzato i sistemi grafici computerizzati di visualizzazione per la gestione delle informazioni distribuite, come negli esempi descritti da Maropoulos (2003) e Wang et al. (2008). Il GPD richiede non solo una tecnologia collaborativa comune per la virtualizzazione, ma anche un’integrazione delle operations di sviluppo prodotto che permetta risposte dinamiche ai cambiamenti del mercato. Un metodo è il CPF (Collaborazione Planning Framework) proposto da Salhieh et al. (2003). Nel 2005, Li et al. hanno proposto, come supporto ai progetti creativi, un modello basato sull’innovazione per lo sviluppo prodotto collaborativo chiamata CIPD (Collaborative Innovation for Product Development), basato sul KBE (Knowledge-Based Engineering). Altre interessanti tecnologie sono orientate agli oggetti (o feature-based) e sono descritte da molti autori (Rodriguez et al.2005, Miet al. 2006, Bradfield et al. 2007, Lee et al. 2007, Mohan et al. 2007, Sadeghi et al., 2009). Per alcuni autori, un’area dove le tecnologie di GPD sono in grado di fare la differenza è rappresentata dal SCM (Supply Chain Management) in ambienti distribuiti. Liu et al. (2006) ha analizzato i progressi ottenuti nel SCM per lo sviluppo di una networked SCP (Supply Chain Partnership) come uno strumento a valore aggiunto durante la globalizzazione. La stessa linea guida è seguita da Yujun et al. (2006) in cui è discussa la transizione da modelli gestionali basati su supply chain e flussi di materiali a quelli basati sui flussi obiettivo, denominati CPDC (Collaborative Product Development Chain).
Oggi il PLM (Product Lifecycle Management) è stato scelto come acronimo di riferimento per indirizzare il mercato ICT (Information and Communication Technologies) nello sviluppo prodotto e nel processo di distribuzione dei prodotti. Le tecnologie PLM consentono alle imprese di creare valide iniziative di sviluppo distribuito dei prodotti attraverso l’uso di collaborazioni altamente protette, di gestione dei dati aziendali e delle abilità di process automation. Stabilire un approccio PLM significa ridurre la galassia del silos informazioni (database, file, documenti, note, ecc.) in cui i dati di prodotto sono in genere dispersi verso un flusso dati coerente, evitando ridondanze e lacune.
In generale, il mercato considera come ‘strumenti PLM’, una serie di software e sistemi a supporto dello sviluppo prodotto, come i tool Computer Aided (CAx), i PDM ed i sistemi KBE. Tutti questi sistemi sono normalmente indicati come “componenti PLM”, anche se sono divisi in strumenti di authoring (CAD 2D e 3D, CAE, CAPP, CAM, prototipazione rapida, DMU, ecc.) e piattaforme per lo sviluppo collaborativo e gestione dei prodotti (PDM, KM, TDM, EDM, ecc.). Il GPD è una strategia intrinsecamente abilitata e supportata dagli strumenti PLM. In particolare, cercando di sintetizzare, si può dire che il PLM supporta il GPD in due aspetti principali:

• Gli strumenti PLM di authoring automatizzano e migliorano il processo di sviluppo prodotto. La progettazione digitale assistita è il fondamento della collaborazione progettuale. Senza strumenti CAx, è del tutto impossibile immaginare qualsiasi sviluppo prodotto distribuito, ancor meno a livello globale. È interessante notare come gli strumenti CAx siano sempre più interoperabili, agevolando l’assegnazione di task di sviluppo prodotto in team dispersi e differenti attrezzati con strumenti ICT.

• Sistemi collaborativi di PLM a supporto dello scambio e memorizzazione dati tra centri di GPD. Queste piattaforme forniscono servizi di archiviazione e comunicazione, permettendo una collaborazione efficace tra attori diversi, indipendentemente dalla loro localizzazione. Al giorno d’oggi, internet e le tecnologie web-based sono i pilastri di questi sistemi, migliorando sempre più l’efficacia della collaborazione. Senza tali sistemi il GPD non potrebbe funzionano veramente.

2 Modelli di GPD

Il GPD è un fenomeno complesso, e dovrebbe essere analizzato tramite opportuni modelli descrittivi comportamentali e organizzativi.
Nel 2000, Chiesa ha classificato i laboratori di R&D situati all’estero sulla base di due strutture: (i) Specialization-based, dove un unico laboratorio di R&D ha la piena responsabilità globale del prodotto, (ii) Integration-based, in cui diverse unità di R&D contribuiscono a programmi di sviluppo tecnologico. Gassmann e Von Zedtwitz (1998 e 2002) hanno classificato i centri di competenze sulla base delle sedi delle attività di ricerca o di sviluppo. Su questa base, hanno definito quattro metodi per supportare la localizzazione di nuovi centri di R&D: (i) National treasure, dove sia la ricerca che lo sviluppo sono fatti nel proprio paese d’origine, (ii) Technology driven, dove lo sviluppo è nazionale e la ricerca è dispersa, (iii) Market driven, dove la ricerca è interna e lo sviluppo è disperso e (iv) Global R&D, dove sia la ricerca che lo sviluppo sono dispersi. Su tale base, questi autori hanno definito quattro principali strategie di GPD: (i) Internazionalizzazione della ricerca, (ii) Internazionalizzazione dello sviluppo, (iii) Lo sviluppo segue la ricerca e (iv) La ricerca segue lo sviluppo. Nel 2005, uno sviluppatore di soluzioni PLM, PTC, ha proposto la sua mappa di posizionamento del GPD, definendo un modello di maturità del GPD composto da 5 livelli: (i) Livello 1, None GPD, (ii) Livello 2, Ad Hoc, (iii) Livello 3, Discrete Services, (iv) Livello 4,  Co-Development e (v) Livello 5, Transformational Outsourcing. Poi, nel 2006, Eppinger e Chitkara hanno individuato quattro metodi fondamentali di GPD (Centralizzato (locale), Captive Offshore, Local Outsourcing e Global Outsourcing) in una matrice a due assi (localizzazione delle risorse vs proprietà delle risorse). Nel loro articolo, inoltre, hanno definito un modello a tre stadi per spiegare i principali approcci per l’attuazione di una strategia di GPD: (i) Process Outsourcing, (ii) Component Outsourcing e (iii) Captive Design Centre. Infine, nel 2007, Lasserre ha proposto una matrice a due assi (integrazione globale vs sensibilità locale). Tale classificazione individua le esigenze di competitività di un settore o di un segmento di business e, addirittura, assiste le aziende nel formulare strategie di business e decisioni di localizzazione.
Confrontando tutti questi modelli è possibile evidenziare come nessuno di loro sia in grado di definire una correlazione tra le strategie di GPD e le tecnologie PLM adottate dalla società che implementano il GPD. Questa è una delle principali lacune, che esistono nella letteratura del GPD. Questo divario è confermato anche da un’analisi della letteratura più ampio: su un totale di più di 95 articoli relativi al GPD, 82 si riferiscono al ‘Perché il GPD è applicato’,40 a‘Quando è adottato il GPD’,37 a‘dove è realizzato il GPD ‘, mentre solo 14 hanno rispondono alla domanda ‘Com’è implementato il GPD’, utilizzando quali tecnologie e strumenti. Questi risultati hanno stimolato la necessità di definire un nuovo modello, in grado di mappare non solo la decisione strategica di fare GPD, ma il come abilitarlo tecnicamente. A supporto di questa domanda di ricerca, è stata effettuata una ricerca empirica in alcune aziende italiane.

Ricerca empirica

Nel corso del 2010, è stata condotta un’analisi empirica su applicazioni del GPD in Italia, a seguito di una precedente ricerca condotta due anni prima. Sulla base di 93 aziende contattate, 82 di loro hanno dichiarato di impiegare normalmente il GPD nei loro processi. Tra queste, solo 20 hanno accettato di essere intervistate e analizzate in dettaglio. È stato sviluppato un questionario di riferimento, con domande aperte. Il questionario era composto da 3 sezioni: (i) informazioni generali sull’azienda (vale a dire l’organizzazione, i mercati, i prodotti e processi), (ii) l’internazionalizzazione delle attività di sviluppo prodotto e (iii) i sistemi ICT di PLM. Le interviste sono state condotte per telefono e mail. Sono stati intervistati R&D manager, Chief Information Officer ed Executive Officer.
La sezione seguente mostra i principali risultati dell’indagine. 4 società sono proprietà straniere, ma hanno un’organizzazione stabile in Italia, le altre 16 sono proprietà italiane (gruppi, famiglie, singoli proprietari). Delle 20 aziende, il 30% proviene dal settore automobilistico, il 25% dal settore meccanico, il 10% dal settore arredamento, il 10% dal termo/idraulico, il 10% dall’elettrico, il 10% dall’aeronautico e il 5% dal design. 25% delle imprese sono tipiche PMI italiane (<250 dipendenti e reddito <100 M€). Il 15% delle imprese ha meno di 1.000 dipendenti e un reddito inferiore a 500 M€. Il 60% ha più di 1.000 dipendenti e un reddito compreso fra 500 M€ fino a 5.940 M€. In termini di numero di ingegneri impiegati nello sviluppo prodotto, il 30% delle aziende ne ha meno di 25, il 20% ne ha tra 25 e 100 e il 50% delle imprese impiega più di 100 ingegneri.
La complessità del prodotto è una variabile composita che misura il numero di famiglie, di componenti e tecnologie appartenenti ad un prodotto e il livello di standardizzazione; questa variabile composita è un proxy per valutare il grado di sofisticazione e maturità del prodotto. Nel campione, il 45% delle aziende realizza prodotti ad elevata complessità, il 25% a media complessità e Il 30% a bassa complessità.
Per quanto riguarda i sistemi ICT di PLM, tutte le società impiegano un sistema CAD 3D; 17 usano anche un PDM integrato con gli strumenti CAx. In soli 3 casi non è presente un sistema PDM.
Le imprese utilizzano, nel 5% dei casi, lo sviluppo distribuito dei prodotti a livello nazionale, nel 95% applica il  GPD: il 10% opera in Europa e negli Stati Uniti, il 20% solo in Europa, il 40% in Europa e India/Cina e il 25% in tutto il mondo. Il 65% delle imprese opera solo con centri distribuiti proprietari, il 20% solo con partner esterni, e il 15% con collaboratori sia interni che esterni.
Informazioni interessanti provengono dal ruolo occupato dai manager di sistemi GPD. Infatti, solo nel 20% dei casi corrisponde logicamente al direttore dello sviluppo prodotto; in tutti gli altri casi la responsabilità del  GPD è associata a differenti figure all’interno dell’organizzazione (R&D manager 10%, design  manager 15%, ICT manager 15%, marketing manager 5%, operations manager 5%, product manager 5%, systems manager 5%, CAD manager 10%, tech office manager 10%) oppure viene esternalizzata.
Tutti i dati acquisiti dalle imprese attraverso il questionario sono stati condensati in un database che, opportunamente decodificato in linguaggio binario, ha permesso l’applicazione di una cluster analysis. Dai risultati sono state costruite quattro variabili rilevanti:

• Maturità ICT del PLM: valuta la presenza dei sistemi GPD e le funzionalità utilizzate in azienda durante la normale attività operativa rispetto a quelle elencate nel questionario. Questo per valutare i progressi delle tecnologie GPD. L’indicatore di maturità deriva da una media ponderata di variabili quali la presenza (o meno) del CAD 3D, del PDM e il numero di funzioni GPD utilizzate.

• Rilevanza del Design: valuta l’importanza del design all’interno del normale ciclo operativo. Essa deriva dalla composizione pesata di variabili semplici come il livello di responsabilità, la mobilità delle risorse e la complessità del prodotto.

Commitment nel GPD: valuta la presenza di una struttura organizzativa idonea a sfruttare tutte le potenzialità offerte dal GPD e le modalità di gestione delle risorse e la rilocalizzazione delle strutture; il commitment valuta anche le motivazioni che hanno indotto l’uso del GPD e la presenza di una cultura di collaborazione all’interno dell’azienda. Il confronto è fra le caratteristiche dei centri di R&D distribuiti, la presenza della cultura di GPD e le motivazioni connesse al GPD.

• Localizzazione dei partner: valuta la presenza (o meno) dei partner o dei centri di R&D distribuiti in zone riconosciute come mercati a basso costo della manodopera.

L’analisi effettuata ha rivelato che:

• I driver non variano, in generale, con il settore di appartenenza. A seconda delle circostanze, i driver seguono la dimensione aziendale (settore automotive, elettrico ed aerospaziale), mentre in altri contesti non esiste alcuna correlazione (settore meccanico e termo/idraulico).

• Non vi è, in generale, un rapporto diretto tra settore e strategia seguita. In ogni settore esistono ancora elementi che accomunano certe aziende, ma differenziano tutte le altre. L’unico cambiamento evidente in molti settori del campione riguarda il comportamento delle grandi aziende rispetto alle altre. È possibile presumere che le grandi aziende seguano strategie di GPD solitamente più complesse rispetto alle PMI (Piccole e Medie Imprese) analizzate.

• La tecnologia impiegata non sembra essere correlata direttamente al settore, ma alle dimensioni e alla complessità dei prodotti realizzati. Infatti, secondo i dati raccolti, le tecnologie PLM più sofisticate sono in possesso di grandi aziende che realizzano prodotti complessi, mentre si riducono di numero e di funzionalità se si scende a quelle di medie e piccole dimensioni.

• Non è generalmente vero che le aziende, nella realizzazione del GPD, guardano alle best practice. Solo 7 aziende su 20 hanno affermato di aver fatto riferimento alle best practice del loro settore al momento dell’implementazione del GPD. Negli altri casi vengono generalmente seguiti i consigli dei fornitori di soluzioni software, selezionati dopo una valutazione standard degli investimenti in tecnologie informative.

Da tutte queste informazioni, è stato possibile rappresentare una prima bozza di un nuovo modello di GPD, in cui considerare entrambi i driver di GPD (tecnologico e strategico).

Proposta di un nuovo modello di GPD

Il modello proposto è composto da un grafico a tre assi. Ciascuno degli assi descrive un matching tra le quattro variabili estratte dal database:

• Orientamento ICT del PLM: deriva, come ben si può presumere, dalla macro variabile maturità ICT del PLM. Permette di evidenziare l’innovazione tecnologica del GPD in azienda e la propensione verso il  lavoro a distanza. L’orientamento ICT distingue le società ‘Avanzate’ dalle ‘Tradizionaliste’. Le prime sono caratterizzate dalla presenza, all’interno della propria struttura organizzativa, di una forte e radicata cultura di collaborazione a distanza tra vari operatori, supportata dalle ultime tecnologie informative di PLM, e da cooperazioni diffuse in diversi aree geografiche. Le seconde, tuttavia, restano legate alle loro origini culturali, impiegano solo le tecnologie ritenute attendibili, ma oggi surclassate, limitando così le collaborazioni esterne.

• Strategia di GPD: si riferisce alla macro variabile (commitment nel GPD) a cui deve essere aggiunta l’altra macro variabile (rilevanza del Design). Il suo obiettivo è identificare la propensione delle imprese ad attuare una strategia di GPD efficiente ed efficace, non solo modificando la struttura organizzativa interna ed esterna dei centri distribuiti, ma anche (i) la disponibilità a cooperare con partner esterni, (ii) le motivazioni che hanno portato all’uso del GPD, (iii) obiettivi strategici del GPD e (iv) il ruolo occupato dalle aziende all’interno della catena di comando. La dimensione ‘strategia di GPD’ distingue due possibili scenari: ‘Proposta’ ed ‘Imposta’. La struttura organizzativa in entrambe le situazioni può essere adeguata (o meno) a supportare attività di progettazione distribuita. Ciò che cambia è la presenza, nel primo caso, di individui con una propensione all’uso di input esterni e una serie di motivazioni ed obiettivi strategici relativi al GPD direttamente definiti e imposti ai propri centri delocalizzati. Nel secondo caso, invece, troviamo aziende che sono impegnate in attività di design distribuito esclusivamente con altri centri all’interno dello stesso gruppo multinazionale, assumendo dall’alto le direttive strategiche inerenti al GPD.

• Dimensione del network di GPD: Deriva dalla macro variabile localizzazione dei partner. In questo caso, però, non si considera solo la presenza (o meno) di siti distribuiti in aree a basso costo del lavoro, ma si osserva direttamente il numero di centri distribuiti proprietari e di collaboratori esterni nelle attività di progettazione e sviluppo. Tutto questo per fornire una valutazione globale della complessità del network collaborativo che ogni azienda deve gestire, classificato in due livelli: ‘Parziale’ e ‘Globale’. Nel primo tipo, ci sono tutte le aziende con centri di progettazione e sviluppo solo in paesi ad alto costo del lavoro, i cui dipendenti sono interni al gruppo societario e il numero di ‘nodi’ del network collaborativo è limitato a poche unità. Nel secondo tipo troviamo aziende che, date le loro dimensioni e quota di mercato, possono beneficiare di siti distribuiti in tutto il mondo, i cui collaboratori esterni sono presenti in varie località e il network collaborativo così ottenuto è molto complesso in termini di numero di “nodi” che devono essere collegati tra loro.

Con il modello proposto, è possibile mappare lo stato ‘As is’ del campione in uno spazio 3D. In seguito è possibile definire una serie di evoluzioni prevedibili della posizione delle imprese analizzate direttamente in un cubo virtuale 3D, limitato dagli assi del modello proposto.
Considerando il modello, sono possibili quattro evoluzioni critiche, che dovrebbero essere discusse in dettaglio (Figura 1):

• La prima immagine (Figura 1.a) caratterizza le aziende che stanno implementando per la prima volta un sistema GPD all’interno della loro organizzazione. In questo contesto è possibile seguire tutte le evoluzioni mappate dal modello. Una società può muoversi strategicamente modificando solo una delle tre dimensioni, su due o, ancora, su tutte le dimensioni simultaneamente. Con le frecce rosse sono riportate le evoluzioni che incidono sulle strategie di GPD e si ritengono più complesse da realizzare.

• La seconda immagine (Figura 1.b) è tipica dei partner di GPD, normalmente rappresentati dalle PMI, coinvolti in network collaborativo globale di aziende multinazionali. In questo caso specifico, il partner deve necessariamente evolvere per evitare la sua sostituzione con un concorrente più avanzato. Eventuali evoluzioni possono coinvolgere le tecnologie di PLM, le strategie di GPD o entrambi gli assi, spostandosi verso le best practice. La possibilità di cambiare le strategie è legata al potere contrattuale delle parti.

• La terza figura (Figura 1.c) è una caratteristica comune sia dei partner di GPD sia dei centri distribuiti di proprietà delle multinazionali. Il caso dei partner è uguale al precedente, solo che, ora, i partner possono evolvere nella dimensione del network di GPD invece che nella tecnologia. Per gli altri, c’è un problema nel modificare le strategie di GPD secondo l’importanza dei centri distribuiti all’interno del network globale. Questa è una domanda relativa a strategie corporate, da analizzare a fondo, che esula dai nostri obiettivi.

• L’ultima immagine (Figura 1.d) è tipica dei centri distribuiti di proprietà delle multinazionali. Questo è un caso particolare perché c’è un’unica evoluzione disponibile che comporta un cambiamento di strategie. Questo cambiamento è solo teoricamente possibile, e rimane connesso ad altre strategie aziendali.
Rispetto ai modelli presentati in letteratura, quello proposto non esplicita il tipo di network collaborativo, l’ubicazione dei centri, la proprietà delle risorse e la sensibilità alle esigenze locali. Tutti questi problemi sono implicitamente considerati negli assi. Dall’altro lato, il modello può mappare l’adeguatezza delle strutture organizzative, l’evoluzione dei sistemi PLM (solo lato ICT), l’evoluzione delle strategie di GPD (caratteristica presente anche in Eppinger & Chitkara, 2006 ed in PTC, 2005) e, infine, ha il supporto di una singola rappresentazione 3D.

Conclusioni

L’articolo presenta un nuovo modello di GPD. Partendo dagli elementi caratterizzanti del GPD, è stato analizzato in primo luogo lo stato dell’arte. Da qui è stato possibile definire sia le ultime tecnologie PLM sia i modelli di GPD conosciuti. In secondo luogo, è stata analizzata la situazione italiana tramite un’analisi empirica svolta su 20 aziende. Infine, è stato proposto un nuovo modello di GPD che acquisisce, per la sua applicazione, sia informazioni tecniche, sia strategiche. Questo modello potrebbe essere utilizzato non solo per la mappatura dello stato ‘As is’ delle imprese, ma per la definizione di una serie di possibili evoluzioni. Gli sviluppi futuri riguardano l’adozione del modello proposto ad un campione più significativo.