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Per fabbriche sicure bisogna coltivare le relazioni

Un approccio ‘umanistico’ alla sicurezza sul lavoro, affinché non sia responsabilità esclusiva dei datori di lavoro, ma coinvolga i singoli lavoratori attraverso le loro coscienze. Secondo Agostino Crosti, Professore del Politecnico di Milano che si occupa di Diritto Penale ed Etica dell’Ingegneria industriale, occorre approcciarsi alla questione con uno sguardo nuovo, che consideri anche gli aspetti organizzativo e formativo: “La sicurezza sul lavoro non può limitarsi a semplici adempimenti normativi, ma deve agire su un piano di coscienza, coinvolgendo le persone nelle scelte quotidiane e promuovendo una cultura della prevenzione”, riflette il professore.

Con il D.lgs 231/2001 la sicurezza sul lavoro ha impatto di natura penale ed è fondamentale far comprendere alla popolazione aziendale quali comportamenti possono configurare un reato, soprattutto perché spesso non ne sono consapevoli: “Per esempio, comportamenti apparentemente insignificanti come la mancata adozione di dispositivi di sicurezza non costituiscono solo una violazione di legge, ma anche un reato”. Inoltre, la responsabilità penale è personale e, in caso di incidenti sul lavoro, non sono soltanto i dirigenti a essere coinvolti su un piano giuridico, ma anche le stesse figure operative. Questo comporta, all’interno dell’azienda, una riflessione sui comportamenti individuali: lavorare sulla coscienza dei collaboratori può portare a una maggiore attenzione alla sicurezza e alla prevenzione degli infortuni.

La responsabilità attiva la cooperazione

Un modello organizzativo che si focalizza sulla sicurezza sul lavoro è previsto dalla legge, e quindi considerato obbligatorio. Tuttavia, è importante determinare fino a che punto si desidera spingere su questo aspetto: superficiale o strutturale (ovvero, che coinvolga attivamente le persone)? Come detto, la sicurezza sul lavoro deve agire su un piano di coscienza, coinvolgendo le persone nelle scelte quotidiane e superando la mera adesione formale alle norme. È dunque fondamentale gestire la questione con un approccio ‘umanistico’, in quanto le persone sono considerate un asset strategico aziendale da tutelare: “Questo nuovo modello, inoltre, non solo garantisce la sicurezza delle persone, ma contribuisce anche al successo e al profitto dell’azienda”, prosegue Crosti.

È proprio lo stesso art. 20 del D.lgs 81/2008 a sancire la responsabilità individuale di ogni lavoratore a prendersi cura della propria salute e sicurezza, insieme con quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, sulle quali ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni. Di conseguenza, promuovere una cultura della sicurezza che sia collaborativa e partecipata è essenziale per prevenire il rischio di incidenti sul lavoro: “Il tema della sicurezza e della prevenzione sono strettamente legati alla qualità delle relazioni e dei processi organizzativi. Come detto, la coscienza dei lavoratori diventa centrale, e implica la cura delle relazioni e la promozione di un modello collaborativo”, conclude Crosti.

Responsabilità penale e ‘risveglio’ delle coscienze individuali, accanto a una formazione adeguata, dovrebbero rilanciare il tema della sicurezza rendendolo non più un mero obbligo formale, ma una questione culturale e relazionale, che incentivi le persone a preoccuparsi delle condizioni di salute e sicurezza dei propri colleghi.