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Se la locomotiva tedesca rallenta, cosa rischiano le imprese italiane

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La ‘locomotiva d’Europa’ ha innestato la retromarcia. Se il ‘grande freddo’ del Prodotto interno lordo (Pil) tedesco stupisce l’opinione pubblica (forse), questo non avviene tra gli addetti ai lavori, che avevano fatto suonare un campanello d’allarme già nei mesi scorsi. Dopo aver registrato una contrazione dello 0,1% nel primo e secondo trimestre del 2019, ora per il Pil di Berlino si prevede identico andamento nel terzo. Il tutto dopo cinque trimestri di crescita zero. La Germania è così l’unico Paese dell’Eurozona a manifestare questo andamento negativo, seguito solo dall’Italia, che è entrata in stagnazione più o meno nello stesso periodo cioè dal secondo trimestre 2018. C’è dunque da interrogarsi se si tratti di una crisi passeggera o se essa riguardi proprio un modello economico. Abbiamo raccolto l’opinione di Francesco Daveri, Professor of Macroeconomics e Direttore del Full-Time MBA presso SDA Bocconi School of Management, a cui abbiamo chiesto anche se – e in che modo – questa crisi si ripercuota sull’Italia. Ebbene, secondo l’economista abbiamo motivo per essere preoccupati. “I tedeschi sono nostri grandi partner commerciali. La Germania assorbe il 13% delle nostre esportazioni e da esse proviene il 17% delle importazioni italiane. Siamo dunque legati a doppio filo dal momento che questa contrazione del Pil si traduce in un calo del loro, che certo non giova alla nostra economia”. Anche le famose auto tedesche, infatti, “utilizzano pezzi meccanici italiani, soprattutto quelli più sofisticati e all’avanguardia”: purtroppo l’Automotive è uno di quei settori che più hanno risentito di questa crisi “ed è dunque una cattiva notizia per le imprese italiane”.

Berlino penalizzata dai dazi di Trump

La causa di questa situazione senz’altro non è univoca, ma è rappresentata da una congiuntura di eventi sfavorevoli, che Daveri individua innanzi tutto “nel rallentamento della crescita cinese, causato anche dall’introduzione dei dazi da parte degli Usa di Donald Trump: la Germania è una delle vittime designate della guerra tariffaria tra Washington e Pechino perché Berlino esporta in entrambi i Paesi e, quasi paradossalmente, ora paga quella che era una condizione di assoluto vantaggio nei confronti di tutti gli altri Paesi europei”. Ma se l’export piange, la manifattura non se la passa meglio: “Allo stesso tempo, il ‘glorioso’ comparto manifatturiero tedesco, che ha sempre fatto da traino all’economia del Paese, ha subito una contrazione pari al 4,9%”. Un dato mai visto negli ultimi 10 anni nel settore di punta dell’economia di Berlino, che si inserisce in un panorama del tutto nuovo: “Se il Pil sinora ha tenuto, lo si deve solo a settori come quello delle costruzioni, ma anche a quello della comunicazione e informazione: è una novità assoluta. Per la prima volta la remunerazione del lavoro è cresciuta del 4,5%, mentre le rendite e i profitti di impresa sono calati del 1,9%. Anche questo è uno scenario mai visto prima”.

Già pronti 50 miliardi per far fronte alla crisi

A condizioni nuove occorre trovare soluzioni innovative e questo è il compito più difficile che attende i governanti: “Il Ministro delle Finanze Olaf Scholz ha annunciato piani di aiuto all’economia tedesca per 50 miliardi di euro l’anno”, continua Daveri. “Certo è che i tedeschi se lo possono permettere: il loro debito rappresenta il 60% del Pil, non il 132% come nel caso dell’Italia, per cui potrebbero esserci da subito segnali positivi”. L’dea del Ministro tedesco è “investire maggiormente nelle infrastrutture, cosa di cui c’è veramente molto bisogno”: “Questa scelta potrebbe essere una delle conseguenze positive della crisi, perché il Paese ha vera necessità di risanare e modernizzare infrastrutture e reti. Si potrebbe sperare in qualche conseguenza positiva anche per le imprese italiane. Infatti, anche se si attiverà un indotto molto locale, non è detto che non necessitino di prestazioni anche da parte delle nostre imprese, specializzate in questo settore”. Senz’altro, a una diminuzione del tradizionale ‘rigore’ tedesco può conseguire qualche beneficio per tutto il resto d’Europa: “Un calo delle imposte potrebbe favorire l’esportazione del nostro Made in Italy, dal momento che l’industria del lusso, soprattutto il Tessile, ma anche l’Agroalimentare, quanto a prodotti Igp e Doc, esercita grande attrazione sui consumatori tedeschi”. Il 2020 potrebbe dunque essere l’anno decisivo per il sovvertimento delle regole che la Germania si è imposta in materia di bilancio: “Scholz ha annunciato di recente che il bilancio 2020 chiuderà in pareggio, grazie alla solidità dell’economia tedesca, che garantisce ampi margini di manovra. Ma non escludo che la crisi attuale potrebbe indurre il Ministro a rompere eccezionalmente la regola del pareggio di bilancio, anche perché, dopo due trimestri negativi, si prevede identica contrazione anche per il terzo”. Durante la dura crisi del 2009, infatti, la Germania iscrisse nel codice costituzionale, al paragrafo 2 dell’articolo 109, il divieto per il Governo di registrare un deficit strutturale che superi lo 0,35% del Pil, cui si aggiunge il sopra citato SchwartzeNull, la regola appunto che stabilisce il raggiungimento del pareggio del bilancio, se non un surplus.

L’occasione per trovare nuovo slancio

Possiamo quindi parlare di crisi di un paradigma economico? Secondo Daveri, “è evidente che se si utilizza un modello economico che porta a esportare il 50% del proprio Pil, ci si espone a rischi molto grandi, specie ora che Trump ha rimesso in auge i dazi”: “Fino a poco tempo fa sarebbe stato inconcepibile anche solo pensarlo, ma ora che la più grande potenza mondiale li ha riproposti, è caduto un tabù, quindi si può pensare che altri seguiranno l’esempio americano. Questo fa del modello tedesco il più rischioso in assoluto”. Non a caso, The Economist “parla addirittura di fine della globalizzazione, coniando il termine slowbalization, ‘globalizzazione lenta’”. Ma non occorre cadere vittime del pessimismo: “L’economia tedesca è comunque solida, ha un Pil notevole e resta in ogni caso una dei ‘big’ mondiali. Dal Dopoguerra la Germania ha guardato troppo poco al suo interno e ora ha l’occasione di farlo. Per esempio, non è mai stata protagonista del boom del mercato immobiliare: le case costano poco, non si sono mai rivalutate anche quando negli altri Paesi c’era il boom del settore, spesso insostenibile. Adesso il mercato immobiliare comincia a crescere ed è, tutto sommato, un buon segno”. Unitamente alla crescita delle infrastrutture, secondo Daveri “potrebbe essere l’occasione per ‘guardarsi dentro’ e trovare un nuovo slancio”.

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