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Tecnologie, processi e competenze: trasformarsi in Smart factory

| Elisa Marasca |

Per trasformarsi in Smart factory non basta introdurre la tecnologia in azienda. Vanno esplorate altre dimensioni. Se n’è parlato nella tavola rotonda dal titolo Lo sviluppo della fabbrica del futuro: una sfida che abbraccia tecnologie, modelli culturali e forme organizzative, organizzata nella tappa di Ancona 2019 di FabbricaFuturo, il progetto multicanale della casa editrice ESTE e della rivista Sistemi&Impresa.

Tavola_rotonda_ESTE

Marco Cognigni, Direttore di Stabilimento Eurosuole, ha spiegato che gli operatori sono diventati supervisori di processi: “Inizialmente non avevamo strumenti per controllare i processi, quindi tra il 1999 e il 2000 abbiamo iniziato ad analizzarli con un team interno di tre persone, ma senza l’aiuto dell’informatica. A monte, infatti, bisogna preparare e analizzare le persone. Abbiamo quindi introdotto Rfid per avere informazioni precise su ogni prodotto. Questo significa anche diminuire i tempi di consegna, eliminando lo stoccaggio e i malfunzionamenti del caso. Siamo passati in 20 anni da zero a 50 robot, ma insieme sono cresciute le professionalità che richiedevamo”.

Stesso procedimento seguito da La Manuelita, come ha raccontato Giordano Torresi, titolare del calzaturificio: “Il nostro primo passo è stato inserire proiettori digitali per il fitting della scarpa, che può essere visto in tempo reale dagli stilisti in tutto il mondo. Poi abbiamo sostituito dei lavori di automazione con robot che hanno solo bisogno della supervisione di una o due persone. Inoltre abbiamo inserito un ricercatore digitale (novità assoluta nel mondo della produzione della calzatura), un archivista, e stiamo cercando un ingegnere robotico applicato alla calzatura. Oggi riusciamo a far partire in parallelo circa cinque fasi di produzione della calzatura, diminuendo i tempi di consegna e aumentando la qualità, monitorando il tutto”.

Il ripensamento della fabbrica deve avvenire come processo circolare, a partire dalle informazioni che servono a tutti i rami dell’azienda. “Per noi è stata fondamentale la progettazione in 3D”, continua Torresi, “che ha permesso di raggiungere tutte le fasi della produzione, fino al B2C: dal 2019 La Manuelita ha lanciato la prima collezione con la private label Giordano Torresi in cui, tramite un particolare configuratore digitale, in tempo reale la cliente potrà personalizzare la propria scarpe online”.

Si lavora quindi con una logica anticipatoria, dal feedback al feedforward, per intercettare i cambiamenti del presente. Lo ha sostenuto Sabrina Dubbini, Responsabile Area Didattica Istao: “La capacità di interconnessione è ormai una realtà, ma non abbiamo modelli gestionali in quest’ottica. Ci chiedono di dare modelli di leadership, ma anche di insegnare collaborazione con la macchina. La parola chiave è ormai contaminazione, ovvero scambio di competenze: la formazione deve essere contaminante e contaminatoria. Per questo bisogna innanzitutto che formatori si scambino skill e ruoli con altri tipi di lavoratori“.

Stessa idea di Rosario Iaccarino, Responsabile della Formazione Fim-Cism, che sta lavorando sull’innovazione organizzativa. La crescita delle persone è il cuore della nuova rappresentanza sindacale, dato che nella Smart factory le persone non sono sostituibili dalle macchine. Fondamentale in quest’ottica è anche il ruolo dell’imprenditore. Per Cognigni un leader deve curare la strategia dell’azienda e sostenere i processi, mentre per Dubbini il capo azienda deve mantenere le sue caratteristiche di leadership, creando degli ambienti dove sperimentare la creatività.

Iaccarino è convinto che anche il tema delle relazioni industriali è centrale, che devono essere basate sulla fiducia reciproca tra le parti: lavoratori e imprenditori. Torresi ha raccontato, a proposito, il passaggio generazionale di La Manuelita, azienda a conduzione familiare dove a poco a poco si è iniziato a “innovare la leadership assumendo un manager esterno“: “Poi abbiamo puntato alla formazione interna e sui giovani e oggi abbiamo una media d’età molto bassa, sui 40 anni, di persone abituate a lavorare in team e con autonomia”.