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Robotica collaborativa e futuro, la produzione nell’Industria 4.0

La Robotica collaborativa è ormai entrata a pieno titolo nel panorama tecnologico industriale, in concorso a tutte le tecnologie abilitanti della trasformazione tecnologica nell’Industria 4.0.

Tradizionalmente i robot industriali vengono concepiti come sistemi di produzione isolati, racchiusi in aree di lavoro delimitate e protette. La loro funzionalità è basata su cicli ripetuti, eseguiti coniugando elevata ripetibilità e alta velocità di esecuzione, ma è caratterizzata allo stesso tempo da una scarsa flessibilità e sensitività.

La nuova concezione di robot collaborativo (o cobot) va invece nella direzione opposta: dal punto di vista meccanico i cobot sono più leggeri e meno potenti, garantendo intrinsecamente una maggiore sicurezza; allo stesso tempo sono dotati di sistemi complessi di sensori che consentono la cooperazione con l’uomo in assenza di barriere e la compensazione delle perdite di accuratezza dovute all’alleggerimento strutturale. In aggiunta, l’interfaccia uomo-macchina per il controllo risulta notevolmente semplificata, consentendo una programmazione intuitiva e veloce, a favore di una maggiore flessibilità di utilizzo.

La diffusione dei robot collaborativi, ormai immessi sul mercato da tutti i principali produttori operanti nel settore della robotica, sposta l’attenzione sulla loro collocazione all’interno delle linee di produzione e sull’impatto che ciò può determinare sul tessuto socio-economico industriale.

Oltre a prevedere numerose applicazioni tecniche di tali robot, come pick & place, assemblaggio e lavorazioni varie di piccola forza, è possibile immaginare svariati scenari di integrazione nella catena produttiva e di cooperazione con l’uomo.

Ci troviamo quindi nella fase in cui la ricerca tecnologica e la sperimentazione svolgono un ruolo centrale affinché la robotica collaborativa possa essere implementata nel tessuto produttivo fornendo vantaggi sia per la competitività delle aziende sia per la qualità del lavoro degli operatori.

Il mercato dei robot collaborativi

Tutte le maggiori case produttrici di robot (per esempio KUKA, ABB, FANUC, Comau, ecc.) hanno ormai a catalogo versioni collaborative dei loro manipolatori ed è proprio grazie all’attività di ricerca e sviluppo di tali aziende e dei centri di ricerca con cui collaborano che tale tecnologia sta prendendo piede sempre più velocemente.

Esistono anche nuovi marchi, come Universal Robots (UR), che si sono affermati sul mercato esclusivamente producendo cobot di nuova generazione. All’interno della vasta gamma di modelli in commercio, ogni produttore ha cercato di differenziarsi dagli altri individuando tipologie e soluzioni tecniche peculiari. KUKA, azienda tedesca pioniera nel campo della robotica industriale, ha lanciato il suo primo cobot nel 2004, a seguito di una collaborazione di ricerca con l’agenzia spaziale tedesca (DLR).

Il modello di riferimento attualmente a catalogo è LBR iiwa, un manipolatore ridondante (sette assi) dotato di sensori di coppia ai giunti; è disponibile in due versioni, con carico massimo rispettivamente di sette e 14 chili. Lo stesso braccio viene proposto con integrazione su un AGV, in modo tale da creare un robot mobile dotato di braccio antropomorfo (KMR iiwa) in grado di circolare autonomamente all’interno dell’impianto produttivo.

Tra i cobot con maggior capacità di carico vi è il CR-35iA prodotto da FANUC, capace di manipolare oggetti fino a 35 chilogrammi. In aggiunta, la stessa casa produttrice commercializza versioni più piccole con carichi paganti di 15, sette e cinque chili. Caratteristica dei cobot FANUC è il sistema di controllo della forza di interazione con l’uomo o l’ambiente, basato su un sensore di forza collocato alla base del robot.

Diversa la filosofia di ABB, che punta su YuMi: si tratta di un piccolo manipolatore dotato di due braccia (dual arm) ognuna delle quali ridondante; in tal modo il robot riesce a svolgere manipolazioni anche molto complesse, come richiesto per esempio in operazioni di assemblaggio.

Le ridotte dimensioni e potenze dei motori limitano tuttavia il robot a mezzo chilo di carico; è quindi principalmente destinato alla manipolazione di piccoli oggetti. L’utilizzo di materiali leggeri e ‘soft’, come la plastica per la realizzazione dei gusci, contribuisce a rendere la cooperazione con l’uomo del tutto compatibile con i requisiti di sicurezza.

L’azienda che attualmente vanta il maggior numero di cobot installati è UR, il cui primo robot collaborativo immesso sul mercato risale al 2008. L’ultima famiglia di manipolatori, la eSeries, è stata lanciata nel 2019 e comprende tre taglie: tre, cinque e 10 chilogrammi. A differenza delle precedenti versioni, gli ultimi modelli montano un sensore di forza sulla flangia terminale del robot che permette di controllare con precisione la forza scambiata con l’esterno.

Molti altri produttori hanno a catalogo robot collaborativi paragonabili per tipologia e taglia a quelli fin qui presentati. Possiamo citare per esempio Franka, Omron e Yaskawa. Ed è lecito aspettarsi che nei prossimi anni il mercato cresca ulteriormente con l’aggiunta di nuovi modelli e l’entrata di altre case costruttrici.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di ottobre 2019 di Sistemi&Impresa.
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