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Empatia, relazioni e approccio umanistico: le competenze per innovare

Secondo l’ultimo rapporto realizzato da Unioncamere in collaborazione con l’Agenzia nazionale politiche attive lavoro (Anpal), nel 2022 le imprese italiane hanno avuto difficoltà a reperire il personale nel 40% delle posizioni di lavoro aperte. Il ritardato o mancato inserimento nelle aziende dei profili professionali necessari provoca rallentamenti nella creazione di valore nei diversi settori economici. Per lo scorso anno, Unioncamere ha stimato una perdita – causata dal mismatch tra domanda e offerta di lavoro – pari a circa 38 miliardi di euro. Guardando al futuro, lo studio stima che tra il 2023 e il 2027 l’intero mercato italiano privato e pubblico avrà bisogno di circa 3,8 milioni di lavoratori, il 72% dei quali dovranno sostituire occupati in uscita. Oltre l’andamento demografico con un gap fra entrate e uscite, il costo del mancato matching tra la formazione delle persone e le necessità delle aziende rischia di aumentare se si considerano le tendenze che stanno già impattando in modo significativo, come la transizione digitale e il green.

Quali sono, quindi, le competenze necessarie in questo scenario in evoluzione? Partendo dagli aspetti legati alla formazione, lo studio di Unioncamere – Anpal stima che, tra il 2023 e il 2027, il 34,3% del fabbisogno occupazionale riguarderà personale con un livello di formazione terziaria, cioè universitaria o professionalizzante, e il 48,1% profili con un livello di formazione secondaria superiore di tipo tecnico-professionale.

Il problema è che c’è un’offerta insufficiente a coprire le necessità del sistema economico, con differenze significative tra i diversi ambiti di studio. Mancheranno in particolare laureati nell’indirizzo medico-sanitario (12mila laureati ogni anno), in quello economico-statistico (8mila unità annue) e ci sarà carenza di lavoratori con un titolo terziario nelle discipline come Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica, descritte con l’acronimo Stem (6mila unità annue).

Date queste premesse, possiamo definire ormai assodato il fatto che siano necessarie le competenze digitali: sono fondamentali per gestire con flessibilità le sfide di un contesto in continuo cambiamento e consentono di sfruttare il potenziale delle tecnologie come leva per supportare il business.

In realtà, le competenze tecniche e digitali non bastano: i nuovi modi di lavorare prevedono un bagaglio ricco di soft skill – le abilità non tecniche legate al lavoro e agli aspetti più sociali e collaborativi, oggi sempre più valorizzate e ricercate – e portano all’attenzione anche i plus di una formazione umanistica. Cogliere la complessità, anticipando le conseguenze indesiderate, producendo intuizioni ad ampio respiro, sono oggi le competenze richieste per guidare il cambiamento organizzativo.

Le competenze umanistiche fanno capire ‘i perché’

Dopo tanti anni a ribadire la necessità di investire in formazione scientifica e tecnica, è giunto il momento della rivincita delle materie umanistiche. Gli umanisti trovano oggi nuove professioni nel mondo del lavoro, grazie a un’attitudine trasversale e creativa che li contraddistingue. Una formazione di questo tipo consente di avere, infatti, un approccio improntato all’analisi critica e all’approfondimento. Allo stesso tempo, spesso la curiosità che anima gli umanisti è capace di spingerli ad affrontare  temi tecnici e manageriali senza difficoltà, rendendoli versatili e dinamici, quindi adatti a contesti molteplici. Sono inoltre di solito apprezzati per le loro soft skill.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Aprile 2023 di Sistemi&Impresa.
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