Gestire l’innovazione in azienda, che DIO ce la mandi buona

| Elisa Marasca | ,

Il Piano Industria 4.0 del 2016 – diventato poi Piano Impresa 4.0 – ha portato molti cambiamenti per tutti i soggetti che stanno affrontando la digitalizzazione delle imprese. Una delle novità è rappresentata dal cosiddetto ‘Voucher Manager’, il voucher destinato agli Innovation Manager e previsto dal testo definitivo della legge di Bilancio 2019, che ha stanziato 25 milioni di euro fino al 2021.

La misura introduce un contributo a fondo perduto sotto forma di voucher per l’acquisizione di competenze professionali di supporto alle imprese che intendono investire in innovazione e tecnologie digitali.

L’agevolazione è corrisposta alle Piccole e medie imprese (PMI), ma anche alle reti di aziende che hanno assunto risorse manageriali per favorire processi di digitalizzazione e riorganizzazione aziendale.

L’ammontare massimo del voucher è di 40mila euro su base annua per le aziende più piccole (non superiore al 50% dei costi sostenuti a decorrere dal periodo d’imposta 2019), incrementato a 80mila euro per le reti di impresa. Le medie imprese avranno invece sgravi fino al 30% dei costi affrontati entro 25mila euro.

Sostegno al cambiamento

“Le aziende manifatturiere stanno sostenendo la sfida di Industria 4.0, che riguarda la trasformazione dell’intera sfera della produzione industriale attraverso l’integrazione della tecnologia digitale e di Internet con la Manifattura convenzionale”, spiega Massimo Marotta, Managing Director di Stanley Black & Decker.

“Una sorta di quarta rivoluzione industriale, che si caratterizza per rappresentare un salto significativo nel modo di lavorare con un impatto straordinario sulla produttività e sulla stessa vita delle persone”.

Infatti, come spiega il manager, “tutti gli elementi coinvolti nelle operazioni di manifattura (macchinari, prodotti, sistemi IT, ecc.), sono connessi digitalmente, determinando una pressoché totale integrazione all’interno della catena del valore, che si estende oltre i confini della singola impresa”.

Ne consegue quindi un grande impatto su strategie e organizzazione. Da qui la nascita di nuove professioni molto specializzate e con elevate competenze tecniche.

Un esempio è proprio il DIO, sigla che cela il Digital Innovation Officer. “Il suo ruolo prevede che coadiuvi i dirigenti a definire obiettivi e strategie e, a seguire, che faccia in modo che i quadri intermedi acquisiscano le competenze per la gestione ottimale dei nuovi processi e delle nuove tecnologie”.

Esiste però una barriera, di natura psicologica piuttosto che pratica, che è l’avversione al cambiamento: “Per superare questo ostacolo è richiesto un salto culturale, realizzabile soltanto attraverso il coinvolgimento delle risorse, condividendo con loro visione, obiettivi, strategie e, soprattutto, confidenza nel progetto complessivo e nel risultato finale da raggiungere”.

Il manager dell’innovazione, allora, dovrebbe possedere competenze diversificate in area Tecnologica, HR, Processi e Gestione, Finanza: un mix tra hard e soft skill. Attualmente, la figura che già possiede questi requisiti è appunto il DIO o il Chief Innovation Officer (CIO), presente in Italia soprattutto nelle grandi realtà aziendali.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di giugno 2019 di Sistemi&Impresa.
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