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Il Made in Italy e il futuro dell’industria

Made in Italy
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha rialzato le stime di crescita del Prodotto interno lordo italiano: da 0,6 a 0,7%, con un ulteriore incremento per il 2024. Cresce globalmente l’Eurozona e, al suo interno, sono interessanti le performance di Francia e Spagna, mentre rallenta la Germania, dove si prevede un calo dello 0,1% nel 2023. Le stime di crescita al rialzo per il nostro Paese sono una buona notizia, ma serve contestualizzarle. L’economia italiana è legata a quella tedesca e un peggiora­mento di quest’ultima avrà certamente un effetto di trascinamento al ribasso anche sulle nostre performance. Allegri, quindi, ma non troppo, per riprendere gli adagi musicali. Anche perché l’inflazione galoppa e sta erodendo sempre di più il potere d’acquisto delle famiglie, com­promettendo anche la propensione al risparmio. Rialzo dell’inflazione e riduzione della crescita sono rischi reali. A questi si aggiungono le conseguenze del conflit­to in Ucraina, le incertezze connesse ai tempi di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e le tensioni legate a fattori climatici e ambientali che – come vediamo anche nei nostri territori – rischiano di mettere a repentaglio interi settori produttivi, primi tra tutti le filiere dell’agroalimentare. Il 15 maggio 2023 l’Italia avrà consumato le risorse naturali disponibili nell’arco di un anno. Si chiama overshoot day e que­sto giorno lo abbiamo appena superato. È evidente che i modelli di produzione e consumo basati sulla linearità (produzio­ne, consumo, fine vita) sono incompatibili con la salvaguardia del Pianeta. Occorre perciò attuare nuove strategie di riutiliz­zo e di riciclo e modificare le abitudini di consumo: le tecnologie digitali hanno un ruolo centrale nella riprogettazione dei modelli di business da lineari a circolari. Il concetto che pervade il nuovo sce­nario è la sostenibilità, che richiede un impegno strategico, ma anche risorse economiche e adattamenti culturali. Le aziende devono dotarsi di indicatori per elaborare i rating: senza rendicontazio­ne delle attività si concretizza il rischio di green washing. Le nostre Piccole e medie imprese (PMI) sono le ambasciatrici del Made in Italy nel mondo, rappresentano il cuore del nostro tessuto produttivo e devono rimanere agganciate alle filiere globali. Ma potranno farlo solo se saranno in grado di ripensare il loro modo di proget­tare e di produrre in un’ottica sostenibile. La loro importanza è vitale al punto che il dicastero dello Sviluppo Economico è stato ribattezzato “Ministero delle Imprese e del Made in Italy”, dal quale i nostri imprenditori si aspettano un soste­gno: il marchio Made in Italy è spesso usato in modo ambiguo e, soprattutto nel settore alimentare, il fenomeno dell’Ita­lian sounding è tutt’altro che debellato. Per il settore tessile si registrano altret­tante distorsioni: i capitolati cinesi sono severissimi per il nostro export, ma la qualità di ciò che importiamo è spesso scadente. Sono tante le sfide con le quali si dovrà confrontare il Made in Italy nel futuro: l’ingegno italiano ci viene riconosciuto in tutto il mondo, tuttavia la nostra incli­nazione al problem solving non basta. Le competenze artigianali si devono arric­chire con le competenze tecnologiche e devono essere approcciate nuove moda­lità organizzative. Per questo le fabbriche del futuro dovranno essere ecosistemi multiculturali aperti alla sperimentazione.

crescita economica, economia circolare, made in Italy, sostenibilità


Chiara Lupi

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 sceglie di diventare imprenditrice partecipando all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige Sistemi&Impresa e pubblica dal 2008 su Persone&Conoscenze la rubrica che ha ispirato il libro uscito nel 2009 Dirigenti disperate e Ci vorrebbe una moglie pubblicato nel 2012.Le riflessioni sul lavoro femminile hanno trovato uno spazio digitale sul blog www.dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager.