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Imab e l’Industria 5.0: la digitalizzazione passa da una visione antropocentrica

| Monica Giambersio |

Mettere la tecnologia a servizio di una visione antropocentrica, che pone gli esseri umani in un ruolo di primo piano nella gestione dei processi industriali; il tutto in un contesto che punta a potenziare, da un lato l’interconnessione tra individui e, dall’altro, la sinergia tra operatori e asset tecnologici. È questo il perno attorno a cui ruota l’approccio all’Industria 4.0 di Imab, azienda marchigiana con sede a Fermignano (Pesaro Urbino), che da oltre 50 anni produce arredamento per la casa.

La sfida, nella visione del gruppo, è in particolare quella di guardare oltre la Quarta Rivoluzione industriale, che ha visto come centro nevralgico la tecnologia, per passare a una fase ulteriore, nella quale il rapporto macchina-esseri umani assumerà un nuovo equilibrio. In questo scenario le persone avranno una padronanza talmente elevata degli asset tecnologici che potranno valorizzarne tutte le peculiarità – legate per esempio alla capacità di elaborare in modo rapido enormi moli di dati – senza alcun rischio di subalternità.

In questo modo chi lavora in azienda preserva il suo ruolo, in particolare per le mansioni di livello più alto, in cui l’intelligenza creativa è un fattore chiave, come ha spiegato Federico Salvatori, Engineering Manager di IMAB, in occasione della tappa di Ancona di FabbricaFuturo, il progetto multicanale promosso dalla casa editrice ESTE, che da 10 anni analizza cosa accade nel settore manifatturiero, dando voce alle aziende del territorio.

Il percorso verso l’Industria 5.0

In uno scenario di questo tipo – che vede l’essere umano in un ruolo decisivo nel processo produttivo aziendale e la tecnologia come uno strumento a servizio dell’attività umana – emerge con forza l’importanza di evitare, come ha detto Salvatori, un eccessivo scollamento tra esseri umani e macchine e, allo stesso tempo, un elevato sbilanciamento in favore delle soluzioni digitali adottate in fabbrica. Solo così sarà possibile affrontare in modo efficace l’era dell’Industria 5.0, basata su antropocentrismo, sostenibilità e resilienza.

E proprio questa volontà di creare un equilibrio tra esseri umani e macchine è stata l’input che ha dato inizio al processo di digitalizzazione di Imab: il percorso è partito nel 2006 e, in tre step distinti, ha portato l’azienda, nel giro di pochi anni, a rivoluzionare la produzione. A una prima fase (terminata nel 2015), nella quale si è sostituito l’intero parco macchine produttivo con soluzioni digitali e interconnesse, si è succeduto un secondo step (tra il 2016 e il 2020), in cui si l’azienda ha lavorato all’implementazione di una serie di software per la smart factory, vera e propria ‘pietra angolare’ dell’evoluzione digitale dell’impresa. Questo percorso di successo ha portato il gruppo, tra il 2021 e il 2022, a un’ultima fase di consolidamento del digitale, in cui si è puntato sullo sviluppo e sul potenziamento continuo del sistema di raccolta e di analisi dei dati, senza dimenticare la valorizzazione dell’apporto umano.

Creare un ecosistema tra esseri umani e macchine

Ma in concreto come si è attuata questa evoluzione? Tra le sfide che IMAB ha affrontato nel suo processo di digitalizzazione ‘umanocentrica’ c’è stata, solo per fare un esempio, quella legata alla mitigazione degli effetti negativi di un’eccessiva soggettività nella gestione delle informazioni: se da un lato le macchine, ha sottolineato Salvatori, si caratterizzano per l’assenza di ambiguità interpretativa, dall’altro gli esseri umani adottano ‘di default’ un filtro soggettivo che può generare informazioni errate. Per ovviare a queste criticità l’azienda ha scelto di muoversi su diverse direttrici: guidare le persone verso un’interpretazione oggettiva; sviluppare software per accompagnare il personale nella raccolta dati; implementare le soluzioni su dispositivi wearable; e infine utilizzare la tecnologia per filtrare effetti negativi della soggettività. Tutto questo, però, senza penalizzare troppo il valore positivo della capacità interpretativa umana, che rimane un elemento essenziale.

Un’altra questione affrontata è stata l’incontrollabilità, ovvero la dicotomia che vede sia l’enorme capacità di calcolo delle macchine sia l’improvvisazione umana, che sa agire anche al di fuori di schemi fissati da un algoritmo. Per armonizzare in chiave sinergica questi due aspetti, valorizzando la creatività come valore aggiunto da salvaguardare, Imab ha impostato questa strategia: guidare le persone verso quella che è chiamata “un’improvvisazione controllata”, che lascia meno adito alla perdita di controllo dei processi;  sviluppare procedimenti in grado di orientare il personale in decisioni e azioni, mantenendone il controllo senza limitare la loro capacità di improvvisazione; modellizzare tali processi sui software installati nei dispositivi wearable. Al termine di tale percorso di integrazione tra la persona e la macchina, Imab è riuscita a dare vita a un nuovo modello aziendale, basato sul concetto di “ecosistema”, in cui tecnologie ed esseri umani convivono, sono interconnessi, monitorati e guidati nei loro processi.

In conclusione, come emerso dall’intervento di Salvatori, a decretare il successo del processo di digitalizzazione è stata proprio la capacità dell’azienda di creare interconnessioni virtuose tra i protagonisti della digitalizzazione. Senza, infine, dimenticare il terreno comune in cui sono valorizzati i punti di forza di persone e macchine, rendendo gli umani il centro nevralgico di una nuova rivoluzione, in cui la creatività colma le lacune delle tecnologie, che sono altamente performanti, ma allo stesso tempo prive dell’estro necessario a gestire problematiche al di fuori di schermi standardizzati.