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La robotica porta crescita e benessere

Le parole “robotica” e “automazione” suscitano nell’immaginario comune timori e paure largamente ingiustificati. Ma questi strumenti non sono altro che l’ultima evoluzione scaturita dal naturale processo umano di ricerca di migliori condizioni di lavoro.

Il comparto della Meccatronica rappresenta sicuramente per il nostro Paese una risorsa decisiva, particolarmente in un momento di congiuntura economica così incerto.

A confermarlo sono i numeri dell’Ucimu illustrati in occasione dell’incontro, organizzato unitamente a Siri (l’Associazione Italiana di Robotica Industriale), dal titolo Robot, salute e benessere: l’impatto dell’automazione industriale 4.0 sul lavoro nelle fabbriche, che ha focalizzato l’attenzione su come la robotica (e l’automazione in generale) possa contribuire a creare benessere e valore in azienda.

A livello globale, nel 2017, sono stati consegnati ben 381mila nuovi robot industriali, con una crescita rispetto all’anno precedente del 30%. Anche l’Italia si è distinta con 7.700 installazioni ex novo, registrando un + 19% nei confronti del 2016, dato quasi doppio rispetto alla Germania e triplo rispetto agli Stati Uniti. Non si prevedono segnali di rallentamento neppure nel futuro più prossimo: è stata infatti teorizzata una crescita del mercato costante almeno fino al 2021.

In Italia la fanno da padrone le macchine progettate per settore Automotive ed Elettronica, ma non è da sottovalutare neppure il ruolo sempre più di primo piano del segmento Metal. La ‘bilancia’ degli ordini parla di + 20% nel 2017 e + 30% nella prima metà del 2018.

 

Doxa
I dati Doxa di coloro che hanno risposto alla domanda: “Da quando la tua azienda utilizza sistemi automatizzati quali parametri sono aumentati?”

 

La trasformazione del nostro comparto industriale è indubbiamente nel pieno del suo corso, ma, come sottolinea Domenico Appendino, Presidente di Siri, c’è la necessità, per sfatare ogni preconcetto su questo processo di digitalizzazione, di gestire il cambiamento in maniera accorta, ma decisa, mettendo al centro del percorso etica e formazione.

“La robotica, utilizzando una metafora, non è altro che la ‘clava’ del terzo millennio: un mero strumento dietro cui non si celano pericoli indicibili. Non deve essere uno spauracchio”

Una questione culturale

A ribadire la tendenza al rialzo anche i dati ricavati dalla ricerca realizzata da Doxa dal titolo Robot, Intelligenza Artificiale e lavoro in Italia: a raccontarlo è stato Massimo Sumberesi, Presidente della società.

“Non sono più tecnologie di nicchia ormai, l’utilizzo dei robot ha permeato il 30% delle imprese italiane, anche se permane una diversa percezione di questa tecnologia tra chi la ‘vive’ e chi ancora non l’ha implementata all’interno della sua realtà lavorativa”.

I robot hanno determinato una sensibile riduzione dei carichi di lavoro per tre aziende su quattro, nel campione interpellato, e c’è stato un riscontro molto positivo dal punto di vista della sicurezza e della salute, con significativi miglioramenti in questo campo anche secondo il 70% dei lavoratori.

“Gli imprenditori giovani sono tendenzialmente più avvezzi al cambiamento, anche se l’età non è un valore così determinante come si potrebbe supporre. Il vero spartiacque rimane la dimensione dell’impresa e la percentuale di business internazionale: maggiori sono le dimensioni e maggiore è il valore dell’export più sarà facile trovare linee automatizzate”.

Uno degli impatti più sorprendenti, in positivo, sui Kpi aziendali è sicuramente quello relativo al numero dei dipendenti: “La grande paura per chi sente sussurrare la parola ‘automazione’ è quella di essere sostituito dalla macchina e di perdere il posto di lavoro, ma nel campione delle aziende che abbiamo ascoltato solo il 5% ha dichiarato di aver ridotto il proprio organico, mentre il 28% ha registrato un aumento di personale proprio in virtù dell’introduzione di strumenti produttivi robotizzati”, precisa Sumberesi.

Queste parole fanno eco a ciò che molti esperti del settore sostengono da tempo: l’automazione non mette a rischio nessuna mansione ‘umana’, anzi crea ricchezza lungo tutta la filiera. Ciò che viene sostituito è solo la mansione ripetitiva e meccanica dove l’apporto della persona non crea alcun valore aggiunto.

L’impegno, quindi, deve essere anche nella diffusione di cultura sull’argomento: “C’è una discrasia tra mondo dell’impresa e la percezione popolare di queste tecnologie, che può essere combattuta solo con maggiore sforzo sul versante formazione”.

L’aspetto medico e sociale del rapporto uomo-robot

Certamente, come ogni elemento esogeno che viene introdotto in un ambiente che lavora secondo standard collaudati, la robotizzazione può essere un agente stressante. “È sicuramente una possibilità da monitorare attentamente nel lungo percorso di salvaguardia della salute del lavoratore. Però sono molte di più le evidenze che ci suggeriscono che questo processo possa essere chiave nella riduzione, non nell’aumento, di alcuni agenti stressanti”, tiene a ribadire Massimo Pagani, Professore di Medicina dello Sport presso l’Università degli Studi di Milano.

Prendere a cuore la salute dei dipendenti, ricorda Pagani, significa anche considerare il problema dello stress: questo non solo può portare a una maggiore efficienza, ma anche a benefici economici e sociali per le aziende, le persone e la società nel suo insieme.

Sempre sul rapporto tra Industria 4.0 e qualità del lavoro si inserisce il commento di Lino Codara, Docente di Sociologia Dei Processi Economici e Del Lavoro presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale dell’Università degli Studi di Brescia.

“Se questa fino agli Anni 70 era individuata come le condizioni prettamente fisiche del luogo di lavoro, a partire dal decennio successivo, con l’arrivo dell’automazione, si è cominciato a dare più peso al contenuto professionale della mansione compiuta in azienda”.

Le moderne tecnologie, quindi, ricorda Codara, si inseriscono perfettamente in questo processo storico di lungo periodo: grazie alla loro introduzione si presentano maggiori possibilità per il ridisegno delle mansioni, il ridimensionamento delle gerarchie di basso livello e le forme di coordinamento di tipo orizzontale.

“Oggi si può parlare di ‘operaio aumentato’: coinvolto, creativo e responsabile, capace di gestire flussi di dati e di affrontare situazioni che richiedono capacità di problem solving. L’equazione è molto semplice, mettiamo persone intelligenti accanto a macchine intelligenti e ci accorgeremo che in questo modo aumenteranno non solo i Kpi aziendali ma anche il benessere delle persone”, conclude l’esperto.