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Le incoraggianti prospettive del Pnrr per il rilancio dell’Industria

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha messo a disposizione del governo italiano oltre 190 miliardi di euro, di cui 69 a fondo perduto, e la rimanenza in prestito (a condizioni piuttosto vantaggiose); a questi, si sono aggiunti circa 30 miliardi del Piano nazionale complementare (Pnc).
Siamo il Paese europeo che ha chiesto, e ottenuto, più risorse, tanto da sollevare qualche legittimo dubbio sull’opportunità di un impegno così cospicuo, sia per il conseguente aumento del debito pubblico (altri 120 miliardi di euro) sia, soprattutto, perché si tratta di risorse finalizzate a investimenti destinati – quasi sempre – a impattare sulla futura spesa corrente.

Per esempio: pur essendo a volte assolutamente opportuno, se non indispensabile, costruire edifici pubblici e strutture sanitarie (come le innovative ‘case di comunità’) nei territori più bisognosi (si tratta quindi di investimenti), risulterà inutile (o addirittura, paradossalmente, controproducente) se non si provvederà alla copertura dei futuri costi di gestione. Soprattutto per il personale che dovrà gestire le opere realizzate, ma anche per manutenzione, utenze, ecc. (tutte voci di spesa corrente). Per non parlare dei dubbi, più che legittimi, sull’effettiva capacità di spesa nella realizzazione delle opere pubbliche, specie quelle di notevolissime dimensioni, con i conseguenti rischi di mancato rispetto dei tempi contrattualmente previsti, per molteplici ragioni: iter autorizzativi, carenze progettuali, ‘sorprese geologiche’, contenziosi con le imprese, ecc. Ricordiamo, infatti, che il mancato completamento delle opere entro giugno 2026 comporterebbe la revoca dei relativi finanziamenti comunitari, con conseguenze pesantissime sulla tenuta dei nostri conti pubblici.
Queste problematiche risultano particolarmente preoccupanti per le regioni meridionali: in primis, perché sono quelle che registrano i più pesanti deficit infrastrutturali, in tutti i settori (viabilità, ferrovie, servizi per l’infanzia, strutture sanitarie, ecc.) e hanno pertanto maggiori necessità da soddisfare.

Un solo esempio, che riguarda gli asili nido. L’obiettivo europeo è di almeno 33 posti ogni 100 bambini. La media italiana è di 25,5 (cioè del 25,5%), estremamente differenziata: si passa, infatti, dal 45,7% della Valle d’Aosta, 42,7% dell’Umbria e 39,2% dell’Emilia-Romagna all’11% della Calabria, 10% della Sicilia e 9,4% della Campania; complessivamente, al Centro-Nord la copertura è quasi in linea con gli obiettivi europei, 32,0%, mentre al Sud è di solo il 13,5%. Sappiamo, inoltre, che nel Mezzogiorno le stazioni appaltanti (in particolare, ma non solo, i Comuni) sono molto spesso sottodimensionati in termini di risorse professionali da dedicare alla programmazione, progettazione, realizzazione e gestione delle infrastrutture stesse, con conseguenti limiti sull’effettiva capacità di spesa.

Le imprese hanno una capacità maggiore di gestione degli investimenti

Fortunatamente, però, una quota significativa dei fondi del Pnrr (oltre 18 miliardi, che potrebbero aumentare a seguito di ulteriori modifiche alla pianificazione nazionale) gestita dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, è stata destinata alle imprese. Questo per finanziare investimenti, materiali e/o immateriali, finalizzati al loro sviluppo in termini di digitalizzazione, innovazione, competitività, rivoluzione verde e transizione ecologica. Le linee di intervento e le modalità di sovvenzione sono molteplici, a partire dallo strumento (già più volte utilizzato con successo) del credito d’imposta, destinato agli investimenti in beni strumentali, ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, design e formazione del personale.
Inoltre, è stata prevista la possibilità di partecipazione pubblica al capitale di rischio (venture capital) di imprese esistenti e di startup attive nei settori della trasformazione ambientale o digitale.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Gennaio/Febbraio 2024 di Sistemi&Impresa.
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