Per l’Intelligenza Artificiale serve un’adozione consapevole

| Fabio Ferrari |

Programmi di Intelligenza Artificiale (AI) che risolvono istantaneamente qualsiasi quesito di business senza neppure analizzare il contesto, che assumono potere e diventano intelligenti per davvero, che sfidano l’essere umano e che alla fine ne prendono il posto.

La narrativa sull’AI ha accentuato negli ultimi mesi alcuni tratti futuristici, che pescano più dal cinema e dalla superstizione che dalla matematica. Per questo, mi piace partire con una provocazione: l’AI non esiste. O meglio: l’AI esiste o non esiste in funzione del suo stesso racconto, del suo utilizzo, dei risultati e dell’impatto che genera sulle persone, sulle imprese, sulle comunità. Che cos’è e a che cosa serve l’AI? E cosa possono fare le imprese per approfittare di questa leva di competitività? Soprattutto: quali sono le riflessioni etiche che dovranno accompagnare l’uso di questa tecnologia?

Per prima cosa, l’AI è un mercato che in Italia si muove molto velocemente. Vale circa 500 milioni di euro, cresce a doppia cifra da anni (+32% nel 2022, secondo i dati del Politecnico di Milano) e presumibilmente continuerà a farlo ancora per lungo tempo. Nel 2022, infatti, solo 15 Piccole e medie imprese (PMI) su 100 avevano avviato almeno un progetto di AI (dato che sale a 60 su 100 se guardiamo le aziende di dimensioni maggiori). Ci stiamo muovendo in maniera decisa lungo una traiettoria di crescita, che diventerà ancora più evidente nei prossimi anni, quando saranno sempre più chiari i possibili benefici, in termini di competitività per le imprese, dell’adozione di progetti di AI.

Contenere le derive dell’AI

L’AI fa grandi promesse, e tendenzialmente le mantiene: riguardo per esempio la migliore organizzazione del lavoro, l’ottimizzazione dei processi produttivi, o la previsione della domanda. Immaginiamo che cosa può significare – in termini di riduzione del consumo di materia prima alimentare – prevedere con grande precisione l’afflusso delle persone in un servizio di ristorazione di massa: nella nostra esperienza questo si è tradotto nella capacità di ridurre gli sprechi di un grande player nazionale di circa 110 tonnellate di cibo ogni giorno. O ancora immaginiamo che cosa voglia dire, in termini di sostenibilità per un’azienda nostra partner, il risparmio del 30% dei consumi elettrici – senza ridurre la produzione e senza cambiare i macchinari – ‘semplicemente’ ottimizzando la produzione con le nostre soluzioni di AI. In aggiunta, forse la cosa più importante fra tutte, l’AI dimostra la sua capacità di liberare tempo per le persone, di stimolarle verso nuove forme di creatività e di socialità – anche nel business.

Esiste un altro lato della medaglia, fatto di un’AI che può essere manipolativa, omologante. E non si tratta di un’AI cattiva (la matematica non può esserlo), ma di una tecnologia usata probabilmente senza comprensione dei suoi impatti, certamente senza etica. L’AI è anche un rischio. Che però può essere fronteggiato grazie a tre risorse principali: la trasparenza di chi produce AI; la formazione delle persone, le norme che saremo in grado di darci.

Alcune imprese del settore – il mio auspicio è chiaramente che anche gli altri si muovano sulla nostra strada – cercano di seguire un codice di comportamento per cui le soluzioni di AI sono discusse assieme ai clienti e ai principali stakeholder, e prima di essere adottate ne sono considerati gli impatti su tutto il contesto. Questa è una delle ragioni per cui abbiamo deciso che i nostri progetti devono essere elaborati da gruppi multidisciplinari in cui ingegneri, matematici, filosofi, fisici, storici discutono assieme il problema e la soluzione, valutando l’impatto degli algoritmi al di là della loro semplice efficacia.

Al tempo stesso, credo che le aziende dell’AI abbiano un semplice dovere: parlare del proprio lavoro con chiarezza e trasparenza. L’AI è descritta a volte come una specie di scatola magica che genera non si sa bene quali soluzioni, altre volte come il ‘cervellone automatico’ che mastica dati e restituisce ordini. Circa 1.200 anni fa, l’algebra è nata per aiutare gli esseri umani a prendere decisioni migliori in un contesto di incertezza: l’AI altro non è che algebra e la sua funzione è ancora quella di supportare l’umanità. Comprenderla diventa un tema, se vogliamo, anche di linguaggio.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Marzo 2023 di Sistemi&Impresa.
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