Ripensare la politica energetica per aumentare la competitività delle imprese

L’invasione russa dell’Ucraina ha spinto ulteriormente al rialzo le quotazioni del gas naturale, che hanno raggiunto anche valori di 170 euro al megawattora. Il dato si inserisce in una tendenza di prezzi già nettamente crescente. Acquistarlo costa tre volte tanto rispetto ad agosto 2021 e addirittura 10 volte in più rispetto ai minimi di settembre 2020, quando, peraltro, eravamo nel pieno dell’emergenza pandemica. Il gas sta aumentando di prezzo, oltre che per il conflitto, anche per le conseguenze del covid.

Da una parte, l’uscita dall’emergenza sanitaria ha favorito un forte incremento della domanda mondiale, che ha raggiunto livelli superiori a quelli pre pandemici. Dall’altra, durante l’epidemia si sono ridotti gli investimenti nel settore, sia per quanto riguarda il gas convenzionale sia in riferimento allo shale gas, cioè a quello intrappolato in accumuli di rocce argillose in vari siti americani, a profondità comprese fra i 2mila e i 4mila metri. Peraltro, la tendenza alla riduzione degli investimenti era già incominciata negli anni immediatamente precedenti il covid, e quest’ultimo ha solo contribuito a intensificarla.

Non solo, quindi, nei due anni trascorsi si è estratto meno gas, ma si sono anche realizzati meno investimenti di lungo periodo, quali, per esempio, perforazioni esplorative finalizzate a valutare nuovi giacimenti o innovazioni tecnologiche volte a facilitare l’estrazione di shale gas dagli accumuli rocciosi. Per effetto degli scarsi investimenti, l’offerta mondiale è oggi relativamente bassa, il che, a propria volta, contribuisce ad alzarne le quotazioni.

Il costo del gas pone problemi di sostenibilità delle imprese

In Italia il prezzo, che pure il nostro Paese non controlla (essendone, com’è noto, importatore), è una componente fondamentale sia della spesa dei privati cittadini sia dei costi delle imprese: infatti, non soltanto è la principale fonte utilizzata per il riscaldamento (da circa il 70% delle famiglie, nonché nella gran parte degli edifici industriali), ma è anche quella maggiore per la produzione di energia elettrica, dove conta per poco meno del 50% del totale. Il gas risulta fondamentale per la determinazione del prezzo anche per una ragione legata al disegno del mercato elettrico: il costo all’ingrosso dell’elettricità è fissato a valle di aste in cui gli operatori (società produttrici e rivenditrici) sottopongono offerte rispettivamente di vendita e di acquisto.

Il prezzo che si forma all’ingrosso, al quale si approvvigionano le imprese rivenditrici, è determinato da quello che, per dirla in gergo economico, ‘chiude’ il mercato, cioè quello in corrispondenza del quale domanda e offerta si eguagliano. Di fatto, vista la struttura della produzione di energia elettrica in Italia, il mercato è generalmente chiuso dagli impianti alimentati a gas naturale. Il prezzo elettrico all’ingrosso, da cui poi si determina quello che paghiamo come utenti sulla base dei contratti con i nostri fornitori, dipende dunque dal costo del gas naturale. È chiaro, quindi, che l’incremento della sua spesa ponga da una parte problemi di sostenibilità ai bilanci delle imprese, dall’altra problemi di competitività per il nostro tessuto industriale, in particolare per la componente manifatturiera che utilizza processi produttivi ad alta intensità energetica: da qui la definizione di “industria energivora”.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Marzo 2022 di Sistemi&Impresa.
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