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Servono professionisti ICT, ma nessuno li sa formare

Cresce la domanda di tecnici dell’Informazione e della Comunicazione (professionisti ICT) in Italia, ma il sistema formativo non riesce a soddisfare le esigenze del mercato. La carenza di competenze, specialmente in settori come lo sviluppo di software e dell’Intelligenza Artificiale (AI) generativa, è evidente ed è confermata anche dal rapporto 2023 dell’Osservatorio sulle competenze digitali, realizzato dalle principali associazioni ICT italiane: l’Associazione italiana per l’informatica e il calcolo automatico (Aica), l’Associazione italiana per l’Information and communication technology (Anitec-Assinform) e l’Associazione nazionale imprese ICT (Assintel), in collaborazione con Talents Venture.

In particolare, a guidare la richiesta in Italia sono le grandi aziende del mondo tech come Amazon, IBM e Accenture, insieme con numerose piccole e medie imprese (delle oltre 100mila imprese attive nei settori digital italiani, il 94% conta meno di 10 addetti). Rispetto alle figure professionali più domandate (e concentrandosi sulle 60 professioni più richieste nel mercato italiano), spiccano quelle legate allo sviluppo software, che rappresentano il 40% del segmento, e tra cui si annoverano figure come l’Application developer, il Front-end developer e il Java developer. Seguono poi le figure dell’ingegneria delle Reti e dei sistemi (tra cui rientrano i Cloud architect e i Systems engineer), che pesano per il 20% del mercato.

Colmare il divario delle competenze digitali

Per capire la dimensione della questione, è utile guardare ai numeri. La domanda per competenze digitali è aumentata significativamente, con un picco di oltre 1,3 milioni di annunci online a febbraio 2023 in Europa (+116% rispetto a inizio 2019). L’indagine illustra come anche in Italia gli annunci di lavoro pubblicati per i profili ICT hanno registrato una crescita importante, passando da circa 25mila nel 2019 a 54mila unità a inizio 2023. Eppure, università, Istituti tecnologici superiori (Its) e scuole superiori non riescono a rispondere tempestivamente alla necessità delle imprese: nel 2022, per circa 219mila annunci pubblicati online, solo 44mila neolaureati o diplomati ICT sono entrati nel mercato del lavoro (questo significa che l’Italia ha registrato una carenza di circa 175mila professionisti specializzati). In altre parole, per ogni cinque annunci di lavoro pubblicati sul web per profili ICT, soltanto uno era inserito nel mercato del lavoro da parte del sistema formativo italiano.

“La trasformazione digitale è un processo continuo e veloce, che deve coinvolgere imprese, Pubblica amministrazione e ciascuno di noi. Mettere le ‘persone al centro’ vuol dire prima di tutto garantirne non solo l’occupabilità presente e futura, ma anche di qualità, puntando sullo sviluppo delle competenze digitali. Insieme, imprese e istituzioni devono collaborare per una scuola che prepari i giovani alle sfide del lavoro e per soluzioni di upskilling e reskilling adeguate ai fabbisogni delle aziende e all’evoluzione del mercato. C’è bisogno di una strategia ampia che includa Academy, università, Its e istituzioni scolastiche per offrire formazione di qualità, diffusa e a prova di futuro”, ha dichiarato Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform.

Riformare la formazione tech

Nonostante i corsi di laurea in materie ICT siano in crescita da anni, rappresentano appena il 7% dell’offerta formativa complessiva (e la percentuale di donne laureate in materie ICT è solo del 23%). Anche gli Its e le scuole superiori mostrano limiti nella formazione di professionisti ICT: rispetto ai primi, è apprezzabile lo sforzo per aumentare l’offerta formativa, ma a oggi gli Its attivi su questa materia sono ancora solo 19 in tutta Italia, e il numero di diplomati è molto contenuto; anche nelle scuole superiori è aumentata la quota di indirizzi tecnologici, ma il numero di diplomandi pronti a entrare nel mercato del lavoro è sostanzialmente invariato rispetto a otto anni fa.

La risposta del sistema formativo è quindi insoddisfacente, tanto da ‘spingere’ la crescita di alternative come i bootcamp e le Academy aziendali. “L’Italia continua ad avere una posizione svantaggiata sulle competenze digitali, ed è un gap che si riflette nel mondo delle imprese. Serve un deciso intervento delle istituzioni su tre fronti: la sensibilizzazione culturale alle discipline Stem – che passa anche per la modifica delle modalità di orientamento scolastico – il potenziamento degli Its e una stretta partnership di indirizzo e di docenza tra le università e le aziende del Made in Italy digitale presenti sul territorio”, ha dichiarato Paola Generali, Presidente di Assintel.

Ma riformare il sistema universitario e scolastico, garantendo una formazione ICT accessibile e inclusiva è soltanto una delle soluzioni presentate dallo studio, che suggerisce di ‘digitalizzare’ il mercato del lavoro, sia attraverso il rinnovamento degli schemi di apprendistato e dei dottorati industriali, sia promuovendo l’upskilling e il reskilling della forza lavoro attuale. Inoltre, si sottolinea la necessità di sviluppare un ‘ecosistema digitale’, potenziando il sistema imprenditoriale ICT, favorendo la creazione di network collaborativi di filiera e avviando una rivoluzione culturale che coinvolga l’intero sistema Paese, dalla sfera educativa a quella aziendale.