Skip to main content

Dalla complessità nascono le opportunità per la Manifattura

Manifattura_sociale
Come devono agire le imprese manifatturiere in un mondo che cambia in modo repentino e disorientante? Come si delinea il futuro della fabbrica, al centro di un nuovo umanesimo industriale? Qual è l’effetto combinatorio di tecnologia e competenze? Le aziende sono chiamate a rispondere a tutte queste domande e a gestire la complessità che il momento storico-economico impone, leggendola come un’opportunità, anziché come minaccia. Proprio la complessità, infatti, deve entrare oggi a far parte del Dna professionale di ogni realtà industriale. Se in passato la semplificazione era un tema di innovazione, ora è parte della normalità e va ‘derubricata’ affinché si trasformi in una situazione da vivere quotidianamente e da cui cogliere gli aspetti positivi.  Come insegna la storia dell’umanità, i momenti di crisi hanno sempre generato cambiamento e trasformazione, nuove scoperte e innovazioni. Le criticità, per chi le ha sapute cogliere, sono state opportunità per ridisegnare gli schemi nei quali erano inseriti i tessuti sociali e, ovviamente, quelli industriali. Il futuro sarà complesso, ma proficuo per chi riuscirà a interpretare l’attuale momento storico in quest’ottica, traendo il meglio dai diversi elementi che lo compongono e che è importante conoscere.  Il primo elemento è legato alla spinta dell’Industria 4.0, che non è (ancora) esaurita: se ne parla forse meno rispetto al recente passato – la pandemia e poi la guerra hanno spostato l’attenzione sui fatti di cronaca – ma superata l’incertezza del momento la previsione è che serva essere pronti sul fronte digitalizzazione proprio per ripartire con più vigore. Eppure le imprese non hanno ancora implementato tutte le tecnologie proposte dal paradigma 4.0 e non hanno ancora colto le possibilità che la Quarta Rivoluzione industriale mette loro a disposizione in termini di efficienza, aumento delle prestazioni, riduzione dei costi e implementazione di nuovi modelli di business. Per esempio il Manufacturing as a Service è ancora lontano dall’essersi concretizzato in molte organizzazioni.   Tuttavia, i dati dell’Osservatorio 4.0 del Politecnico di Milano stimano, per i prossimi anni, una crescita a doppia cifra (superiore al 20%), negli investimenti in tecnologie: Internet of Things (IoT) industriale, cloud per il Manifatturiero, soluzioni as a service per la fabbrica… Gli investimenti in digitale, quindi, non si fermano; anzi, anche le aziende che durante la pandemia li avevano congelati, hanno ora capito quanto le tecnologie siano importanti per la continuità operativa e per mantenere alta la competitività. 

L’era delle transizioni digitale, ecologica, sociale 

Quella che stiamo vivendo non è una rivoluzione solo tecnologica: è anche sociale. E le imprese devono esserne consapevoli. Le persone oggi sono abituate a utilizzare tecnologie forse più di quanto pensino gli ingegneri industriali che progettano le soluzioni per l’Industria 4.0. Ma c’è un evidente digital divide generazionale: il gap di competenze è tra le diverse generazioni che condividono il luogo di lavoro. I nativi digitali che entrano in azienda, inoltre, si aspettano di lavorare con organizzazioni all’avanguardia e informatizzate; altrimenti, sono pronti a cercare altrove un posto di lavoro in un’impresa che reputano adeguata, magari fuori dall’Italia.  Piuttosto che la parola “rivoluzione”, sarebbe meglio parlare di “transizione”: questo termine incarna perfettamente il momento che stiamo vivendo. Infatti, la rivoluzione si esaurisce, mentre la transizione prevede una dinamicità: la normalità oggi non è statica, ma in evoluzione, perché siamo costantemente in uno stato di miglioramento. La transizione tecnologica, per esempio, non può concludersi con un investimento: arriveranno nuove innovazioni da seguire, in un perenne movimento.  La transizione – a differenza della rivoluzione – inoltre ha più risvolti: a quella digitale si combina quella ecologica; le due si intrecciano, si influenzano e devono essere gestite in contemporanea. Basti pensare che non è possibile attuare la transizione ecologica senza il digitale, considerato come il vero e proprio abilitatore del cambiamento.   Allo stesso tempo, c’è da registrare che la globalizzazione non esiste più: l’assetto delle filiere globali, già modificato dalla pandemia, si è ulteriormente trasformato dalle difficoltà lungo le Supply chain e dai ‘colli di bottiglia’ della logistica. Le filiere globali che le imprese avevano ottimizzato, cercando di produrre e acquistare nei Paesi in cui risultava più economicamente conveniente, lasciano il posto a una regionalizzazione che vede le Americhe, l’Europa e il Far East come aree distinte.  Ma, ancora una volta, il ridisegno dei marcati globali può diventare un’opportunità. Per esempio può tradursi nel riportare la produzione vicino ai mercati di riferimento, nell’acquisire competenze, nell’aprire nuove fabbriche, nel creare posti di lavoro… In questo ridisegno dell’industria, le aziende devono valorizzare le diversità, siano esse di genere, anagrafiche, culturali o religiose (per esempio non serve più l’uso della forza muscolare in fabbrica e quindi i lavori sulla catena di montaggio che un tempo erano appannaggio degli uomini possono essere svolti anche dalle donne). E poi le imprese devono lavorare per essere attrattive, offrendo ai talenti formazione e salari adeguati.  
Il testo è la trascrizione dell’intervento di Marco Taisch alla tappa di Torino di FabbricaFuturo (8 aprile 2022) – raccolto da Cecilia Cantadore. Per informazioni sul progetto, scrivere a martina.galbiati@este.it

digitale, FabbricaFuturo, industria 4.0, quarta rivoluzione industriale, transizione


Marco Taisch

Presidente di MADE Competence Center e Professore Ordinario di Advanced & Sustainable Manufacturing al Politecnico di Milano, School of Management Manufacturing Group