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Its, la riforma della formazione che serve al Manifatturiero

Più che con un’epoca di cambiamenti, dobbiamo fare i conti con un cambiamento d’epoca, nel quale si assiste alla globalizzazione dei fenomeni sociali, culturali, economici segnati da indicatori del tutto nuovi e non sempre assimilabili a quelli del passato.

Basti per tutti la concezione di lavoro che sta interessando adulti e giovani, sempre più decisi a viverlo come uno degli aspetti della propria vita organizzata e non in maniera esclusiva, come era, invece, per le generazioni precedenti. Lavoro sì, ma come opportunità che concorra allo ‘star bene’ nelle attività produttive, a essere contenti per quel che si fa, fino ad anteporlo allo stesso salario. Fenomeno che troverebbe le sue spiegazioni nelle dimissioni in massa in molti Paesi: 15 milioni di posti vacanti in Usa; 1,5 milioni nel Regno Unito; in Italia, solo nel Veneto, in quattro anni ci sono state 66mila dimissioni.

Che cosa fare? Sono necessarie politiche attive di nuovo conio che riescano a creare situazioni più accettabili, a dare più stabilità e più forte motivazione, ma anche migliore preparazione, rispondente alla richiesta di nuove competenze da parte delle imprese. Sono note, infatti, le difficoltà di molte aziende che faticano a trovare candidati con preparazione adeguata per il 32,2% delle posizioni disponibili. Il dato che emerge da uno studio di Unioncamere relativo al 2021 è di sei punti percentuali superiore a quanto registrato nel 2019 ed è destinato a crescere sensibilmente nei prossimi anni: si stima la difficoltà di reperibilità anche di dirigenti (70%) e specialisti in ambito informatico, ma pure in chimica e fisica (53%) nonché di ingegneri (46,7%). L’ostacolo principale è dato dalla formazione insufficiente dei candidati, seguita dalle carenze nella preparazione scolastico-universitaria e dall’invecchiamento della popolazione.

A pensarci bene, è in gioco la competitività delle nostre imprese, che rischiano di essere sempre più marginalizzate nelle dinamiche dei mercati globali. Davanti a queste prospettive, gli analisti comunitari indicano principalmente due ragioni: la scarsità di investimenti in tecnologie innovative, con la conseguente poca loro diffusione; la mancanza di skill specifiche. Gli interventi pubblici – l’Italia sta provando a farlo con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – puntano, dunque, a rafforzare il sistema formativo, a cominciare da una maggiore offerta di servizi per alleviare le incombenze dei genitori lavoratori.

Per altro verso, gli economisti dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sono arrivati alla conclusione che le imprese con lavoratori più qualificati mostrano tassi di adozione delle tecnologie digitali più elevati e realizzano maggiori incrementi di produttività, specialmente se si tratta di micro e piccole imprese. La formazione, dunque, è fondamentale. In una stagione di grandi cambiamenti per l’economia e la società, a fare la differenza è la cosiddetta liquid workforce, cioè la capacità dei lavoratori di adattarsi continuamente alle evoluzioni dello scenario per restare competitivi come professionisti e all’interno del contesto in cui operano.

Ripensare il sistema nazionale d’istruzione e formazione

Sulla scia di queste e di altre considerazioni, si stanno delineando alcuni percorsi formativi nuovi. A metà luglio 2022 è stata approvata la riforma dell’Istituto tecnologico superiore (Its) post diploma, che sull’esempio di ciò che sta avvenendo in diverse Regioni del Centro-Nord in via sperimentale, consentirà l’attivazione di ben 120 corsi. Questi sono finalizzati all’alta specializzazione per studenti già diplomati oppure laureati o che abbiano interrotto il percorso universitario. Si tratta, insomma, di una nuova modalità di formazione-istruzione terziaria non accademica.

Nel testo definitivo approvato al Senato il 20 luglio 2022, oltre a una serie di indicazioni di tipo amministrativo, poche sono le novità rispetto al testo varato dalla Camera dei Deputati. Fra le più significative indicazioni nuove o confermate: una nuova denominazione data a questi corsi con Istituto Tecnologico Superiore Academy; la possibilità di estendere il biennio di 1.800 ore fino a tre anni per 3mila ore in sei semestri, per alcuni Its particolarmente impegnativi; la conferma ribadita di affidare compiti didattici a docenti aziendali per il 60% della durata del corso; l’affidamento al Cts del compito di stabilire i criteri di spendibilità del diploma Its per possibile iscrizione universitaria; la conferma della regia delle Regioni in coordinamento con il Ministero dell’Istruzione.

Tutta la riforma rimane in attesa di 19 decreti attuativi. Questi percorsi permettono di preparare profili qualificati e ricercati dalle aziende che operano sul territorio, con diretto riferimento al fabbisogno diffuso nella propria zona. La riforma degli Its prevede la presenza di testimonial aziendali per il 60% delle docenze e il 35% di stage formativi sul lavoro e in laboratori attivi; inoltre, i corsi avranno una durata di due anni. Sono diversi i settori già coinvolti in molte Regioni italiane: la Logistica, i Trasporti, il Turismo, l’Agro-alimentare, la Bio-edilizia, la Meccatronica, l’Energia, l’Arredo, la Moda, l’Innovazione meccanica, la Cross media communication, il Digital marketing…

I risultati stanno premiando quest’innovazione, dato che il 90% degli studenti degli Its trova subito occupazione. I diversi soggetti cointeressati, in questa audace e innovativa impresa, oltre al Ministero e alle Regioni, sono le università, le associazioni di categoria, le fondazioni, i privati e quanti possono portare un contributo di nuova formazione e di attivo tutoring sul lavoro, in forma di nuovi patti di alleanze.

Si comprende bene che, a questo punto, tutto il sistema istruzione-formazione è in ripensamento. Ma come spiegare i motivi che esigerebbero un ripensamento del nostro sistema d’istruzione? I motivi e le cause di una coraggiosa azione innovativa sarebbero tanti. È facile sentire parlare di scuola, di programmi, di insegnanti, di poca attenzione ai reali problemi scolastici (addirittura c’è chi ne parla con la sufficienza del ‘tutto va bene così!’), a prescindere della rispondenza dell’azione didattica ai bisogni formativi delle nuove generazioni. E i problemi si addensano sugli orizzonti della comunità civile, cui si risponde spesso con uno sconcertante senso di impotenza nel ripetere: “Si è fatto sempre così, perché cambiare?”.

In questi tempi di mutamenti, segnati da velocità e da travolgenti trasformazioni, si pone la necessità di guardare in faccia ai nuovi problemi: disoccupazione giovanile, drop-out e abbandoni, Not in education, employment or training (Neet) – sono circa 3 milioni i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano – fughe di cervelli, deficit di esperienze e imprese in difficoltà per trovare competenze adatte all’innovazione in corso. Segnali pressanti vengono da esigenze nuove del mercato del lavoro, che sempre meno guarda a titoli e a diplomi, per privilegiare, invece, la richiesta di competenze tecniche e di soft skill, ma anche di esperienze significative che sappiano dare senso ai saperi acquisiti, per ispirare la voglia di acquisirne altri.

La più evidente spiegazione è nei fatti e nell’emergenza di una domanda del lavoro che non si accontenta più solo di formazione generale che – seppur sempre insostituibile – non è più sufficiente ad assicurare un’offerta dotata di competenze e capace di inserirsi nei nuovi cicli produttivi, con autorevolezza e disposta ad apprendere anche sul campo.

Si tratta, allora, di contrastare le resistenze di una cultura diffusa che in passato ripeteva: “Se non studi, vai a lavorare”. Oggi, invece, occorre studiare per poter lavorare, con una formazione funzionale anche ai propri desideri professionali e al proprio benessere personale.

Non è difficile constatare, però, che oggi manca una generazione di studenti con formazione terziaria complementare agli studi universitari. È diffuso il bisogno di arricchire l’istruzione di “teste ben fatte”, con la possibilità di combinare “teste e mani intelligenti” (Edgar Morin).

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Luglio-Agosto 2022 di Sistemi&Impresa.
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