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La missione della tecnica, il desiderio dell’uomo

| Chiara Lupi |

Ci piace guardare all’innovazione da vicino. Per questo intervistiamo gli imprenditori all’interno dei loro stabilimenti, cerchiamo di respirare la loro aria. Con il numero di Maggio 2019 di Sistemi&Impresa siamo stati a Crema. In Lombardia, tra Bergamo, Cremona e Lodi si producono oltre il 65% dei prodotti cosmetici di tutti i più grandi marchi internazionali. Bene ricordare i valori che ruotano intorno a questo business: le esportazioni valgono 2,7 miliardi di euro e le imprese del settore investono il 7% del fatturato in innovazione tecnologica contro una media nazionale stimata intorno al 3%.

E i risultati parlano. Renato Ancorotti ci ha aperto le porte del sito produttivo, l’ex stabilimento industriale di Olivetti progettato da Marco Zanuso e Renzo Piano, ristrutturato risanando una ferita urbana, racconta. La crescita dell’azienda, che oggi può contare su una Smart factory che impiega una forza lavoro femminile al 65%, è stata esponenziale: il fatturato è passato da 900mila euro nel 2009 a 101 milioni, i collaboratori da 7 a 370.

In uno stabilimento automatizzato, dove mezzi a guida autonoma movimentano le merci, si può progettare un futuro per il lavoro umano? Ancorotti cita Olivetti, che esortava a non avere paura della tecnologia, capace di togliere l’uomo dalla schiavitù della monotonia. In effetti la grande sfida di chi lavora oggi in una Smart factory è riuscire a far evolvere le proprie mansioni utilizzando consapevolmente le tecnologie digitali.

Il magazziniere dovrà spostare dati e non merci, dovrà dialogare con robot collaborativi e sapersi muovere in un ecosistema interconnesso. Un ecosistema che deve poggiare su una riorganizzazione che abbraccia diversi livelli: dalle infrastrutture per elaborare la crescita esponenziale dei dati, alle sfide organizzative e culturali che comprendono l’evoluzione dei ruoli e la gestione dei processi.

Ma non stiamo parlando di cose nuove. Come sottolinea Marco Vitale nell’Impresa responsabile “la tecnica, con il suo inerente carico di rischio, accompagna da sempre l’avventura dell’uomo; la tecnica non è un dato estraneo all’uomo, ma è indissolubilmente legata all’uomo e alla società umana.

Al tempo di Platone, la tecnica dei cinesi era, in molti campi, incomparabilmente superiore a quella dei greci; alcune tecniche sviluppate dai romani sono sparite, in Italia, per mille anni; ai tempi di Erodoto intere regioni dell’Africa che ora sono desolati deserti erano fertilissime, grazie a gigantesche opere idrauliche; gli indios delle Ande boliviane erano molto più sviluppati tecnicamente cinque secoli fa, prima che gli spagnoli li egemonizzassero.

La missione iniziale della tecnica è quella di affrancare l’uomo perché possa dedicarsi a essere se stesso, ma presuppone un progetto di vita; la tecnica si ingegnerà a compiere la sua missione di aiutare l’uomo a realizzare i suoi progetti, ma non spetta a essa definire il progetto”. C’è un’invenzione pre-tecnica, ha scritto Ortega y Gasset, l’invenzione originale: il desiderio. Quello che ha portato due ragazzi poco più che trentenni a far rivivere con il brand Velasca lo spirito delle botteghe rinascimentali all’interno di un progetto imprenditoriale moderno e sostenibile.