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L’innovazione è un modo di essere

innovazione
L’innovazione traghettata dalla quarta rivoluzione industriale ha mandato in soffitta il modello fordi­sta per dare spazio a una fabbrica non più circoscritta all’interno di uno spazio fisico, ma che è la risul­tante di processi collaborativi, tanto più efficaci quanto più sono estesi. Per questo al termine “fabbrica” si sostituisce progressivamente il con­cetto di “ecosistema”: uno spazio virtuale all’interno del quale intera­giscono gli attori che contribuisco­no alla produzione, all’ideazione dei prodotti, alla loro diffusione sul mer­cato e alla gestione del post vendita. La fabbrica è diventata smart, con­nessa al suo interno, ma anche con clienti, fornitori e partner. I sistemi gestionali intercettano grandi quan­tità di dati che possiamo mettere a valore, se sappiamo leggerli. Tutta­via non dobbiamo cadere nell’equi­voco che il perno di questa rivoluzio­ne industriale sia la tecnologia. Correva l’anno 2014 quando alla tappa bolognese del nostro ciclo di incontri FabbricaFuturo, Carpigiani raccontava di come l’azienda ave­va avviato un processo di manu­tenzione predittiva grazie all’inter­connessione delle macchine. Ma la tecnologia non è una panacea che, per il solo fatto di essere calata nei processi, trasforma la fabbrica in un luogo smart. Non basta cambiare i macchinari per creare una fabbrica digitale. La propensione all’innova­zione dipende dal nostro ‘modo di essere’, come evidenzia anche Antoine Mangogna, Am­ministratore Delegato di Saati. Tutte le tecnologie 4.0 saranno ef­ficaci se calate all’interno di un’im­presa che, dalle fondamenta, avrà ripensato se stessa, a partire da tre capisaldi: progettazione di nuovi modelli produttivi e di business; or­ganizzazione del lavoro; crescita di competenze. Le tecnologie rappre­sentano un motore abilitante, ma ci sono nuovi temi sui quali interrogarci per far sì che la quarta rivoluzione in­dustriale rappresenti un’opportuni­tà. Se è cambiata la modalità con la quale ideiamo, progettiamo e distri­buiamo i prodotti o servizi, il nostro modello produttivo dovrà essere più flessibile. Ecco che l’organizzazione del lavoro – per come l’abbiamo co­nosciuta e studiata – perde di signi­ficato. Serve un cambio culturale, che può essere abilitato da un unico fattore: la conoscenza. La tecnologia avrà il grande merito di ridare digni­tà al lavoro dell’uomo nelle nuove fabbriche, a patto di aggiornare le competenze, saper organizzare un ecosistema che funziona con nuove logiche e conoscere le potenzialità dell’innovazione tecnologica per in­ventare nuovi business model.

competenze, innovazione digitale, modelli di business, tecnologie


Chiara Lupi

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 sceglie di diventare imprenditrice partecipando all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige Sistemi&Impresa e pubblica dal 2008 su Persone&Conoscenze la rubrica che ha ispirato il libro uscito nel 2009 Dirigenti disperate e Ci vorrebbe una moglie pubblicato nel 2012.Le riflessioni sul lavoro femminile hanno trovato uno spazio digitale sul blog www.dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager.